Paul is (not) dead: quando l’Aston Martin di Paul McCartney passò da Milano

Storia di una DB5 entrata nel mito e della più incredibile leggenda metropolitana sui Beatles, quella che vuole Mc Cartney morto in un incidente stradale

- foto via RM Auctions

È andata così no? Una sera di novembre del 1966 scoppia una litigata nello studio di Abbey Road. Paul non li guarda neanche George, Ringo, John, butta a terra il basso, sbatte la porta, esce e sale sulla sua Aston Martin DB5. Piove.
La adora quella DB5 (targata 64 MAC, tre anni prima di "When I'm Sixty-Four") e quei tre, che gli importa? Li rivedrà domani, li vede sempre, non li sopporta già più. Gira le chiavi, uno sguardo alle luci del cruscotto che tremolano di un bel verde demoniaco, innesta la prima e corre, corre a tavoletta, perché ha un appuntamento col destino, e col destino non vuoi mica arrivare in ritardo.

Il rendez-vous prende la forma di un semaforo rosso che Paul non vede, e per evitare lo scontro con un’altra auto si schianta contro un albero, o un palo della luce. In fondo, cosa cambia? Ben poco per quel che riguarda il risultato finale: nell’urto la DB5 si trasforma in una scatoletta accartocciata e il nostro viene decapitato, ed è un fastidio, perché come noto alla decapitazione di solito segue la morte. Con la morte però qualche volta si deve scendere a patti. 

Perché in quel periodo i Beatles non possono fermarsi, e la morte va se non sconfitta, quantomeno ingannata. Paul non può morire perché i Fab Four di quel periodo sono ben più che in rampa di lancio, sono star planetarie, affrontano tour mondiali, e lo sono da almeno tre anni, dal 1964 e con quattro LP alle spalle: "Please Please Me" (1963), "With the Beatles" (1963), "A Hard Day's Night" (1964), "Beatles for Sale" (1964). In molti ritengono che per fare uno scherzetto alla morte, una volta defunto il signor McCartney venne sostituito con un “nuovo” Paul, un signor nessuno che aveva vinto un concorso di imitatori. Il resto è, se non storia, almeno leggenda urbana. 

Perché non è accaduto ovviamente niente del genere, lo sappiamo, ma la leggenda metropolitana di “Paul is dead” - con tutte le sue infinite varianti è pur sempre godibile, e lo è per i beatlesiani e non: ed è ancora più piacevole quando qualche brandello della leggenda si trasforma in realtà, quasi a volerci dare un indizio - o un altro, l’ennesimo depistaggio? - che qualcosa di vero, o magari di verosimile c’è. 

Per esempio L’Aston Martin DB5 su cui sarebbe morto Paul McCartney nel 1966 esiste eccome, è andata all’asta nel 2012 da RM Auctions per circa 500mila dollari, e oggi oltre a valerne tre o quattro volte tanto se ne sta al calduccio in un garage di Londra: adesso quella DB5 è perfetta, ma ha davvero avuto un incidente in quegli anni, gli anni dello schianto di Paul is Dead - c’è chi dice 1966, chi 1967 - ma soprattutto è passata da Milano, anzi, da Corsico per l’esattezza, per rinascere. Visto che in fondo sempre di vita e di morte stiamo parlando. 

(L’Aston Martin DB5 durante il restauro, nell’officina di Walter Baroni a Corsico. Foto courtesy of Walter Baroni)

La DB5 di Paul McCartney è stata infatti restaurata alcuni anni fa da Walter Baroni, guru delle auto storiche britanniche in Italia: nei primi anni 2000 un collezionista inglese aveva recuperato l’Aston acciaccata da un garage dove giaceva in stato di abbandono, proprio dopo quell’incidente degli anni ’60, e gliel’aveva portata per un restauro completo. Paul quella DB5 l’aveva comprata nel 1964, e la DB5 al tempo era la supercar britannica che tutti sognavano, più ancora dell’altrettanto splendida - e coeva - Jaguar E-Type, vettura che avremmo imparato a conoscere e amare come “la macchina di Diabolik”. E se il Re del Terrore a fumetti si muoveva in Jaguar c’era un’altra leggenda - cinematografica però - che in quegli anni avrebbe scelto Aston Martin: James Bond, che proprio in Goldfinger (pellicola sempre del 1964) avrebbe guidato per la prima volta una splendida e accessoriatissima DB5.

Volendo fare un confronto con un’auto di oggi? La DB5 di allora potrebbe essere in termini di prezzo e prestazioni confrontabile con quello che oggi è per noi un’Aston Martin DB11, meraviglia per la quale dovremmo staccare un assegno da circa 211mila euro.

Logico che anche Paul McCartney se ne fosse innamorato: la sua DB5, consegnata nel 1964, era color Sierra Blue, interni in pelle Connolly, con una serie di accessori adeguata alla caratura del proprietario, tra cui un mangiadischi. Proprio un peccato che ne avrebbe goduto solo per alcuni anni… ma non tanto per la sua presunta morte. Quanto perché nel 1968 Paul ne aveva già un'altra di Aston Martin, una DB6, dove avrebbe registrato canticchiandola - mentre andava a trovare Julian e John Lennon - "Hey Jude".  

A farci due chiacchiere oggi, Walter Baroni ricorda ancora bene l’Aston di Macca, e dell’urto, che c’era stato sì, ma non avrebbe di certo potuto uccidere Paul McCartney. Walter ricorda anche alcuni dettagli che confermano la storia di un incidente che non avrebbe potuto uccidere il nostro, ma ferirlo leggermente sì. Almeno a giudicare dalle tracce di sangue ritrovate sulla tappezzeria del veicolo, macchie del sangue di Paul, che furono conservate gelosamente durante il restauro. Lo sappiamo, no? Per poter clonare Macca. Ma questa sarebbe un’altra storia, anzi, un'altra leggenda.

 


 

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L'articolo Paul is (not) dead: quando l’Aston Martin di Paul McCartney passò da Milano di Gabriele Ferraresi è apparso su Rockit.it il 2016-07-07 14:43:00

Tag: storie

COMMENTI (3)

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  • glaucart8 anni faRispondi

    Spiego meglio il punto del "sangue", perché mi rendo conto di non essere stato chiaro. Nell'articolo viene riportato (con evidente tono canzonatorio), come un argomento "Complottista", il fatto che il sangue ritrovato nell'Aston sia stato conservato per clonarlo. Ma non è assolutamente un argomento che fa parte delle elucubrazioni "leggendarie" sul tema. Anzi, si è sempre parlato di un sosia e di plastiche facciali. Quella del clone è un'ipotesi estrema, collegata a veri "voli pindarici" su extraterrestri, e mai comunque si è parlato di sangue trovato sulla scena dell'incidente. Quindi scrivere una cosa del genere porta fuori strada, sembra un argomento "complottista" che invece non è mai stato cavalcato da nessuno (escludendo qualche pazzo isolato di scarsissima rilevanza statistica). Per capirci, è come se parlando - per screditarle - delle teorie complottiste sull'Undici Settembre, diceste che i complottisti credono che le torri le abbia fatte crollare Uri Geller col pensiero, d'accordo con l'FBI. (in realtà, nessun "complottista" l'ha mai sostenuto...). Chiaro il punto?

  • glaucart8 anni faRispondi

    Scusate, ma è un po' una massa di banalità. Come farebbe, la scoperta che un incidente ci sia veramente stato, ad escludere una morte (o che Pual si sia sfigurato)? è un salto logico. Ci si ammazza o ci si sfigura anche a 40 all'ora, specie in un'epoca in cui non c'erano air bag né cinture di sicurezza. Quindi, i rilievi di Baroni aggiungono casomai "verità" al mistero, non il contrario. E come mai questo incidente è sempre stato nascosto da Paul stesso? Da notare che tutto ciò che concerne l'Aston a Corsico, e anche parecchio di più, è stato già pubblicato da noi fin da cinque anni fa, dopo l'indagine in loco di Donato Pastore. Vedere l'edizione del 2011 di "PID, il Caso del Doppio Beatle", di Glauco Cartocci, edizioni Robin, Capitolo 10. E la conclusione "sconclusionata" di questo articolo, dove la mettiamo? Che il sangue di Paul sia stato "conservato per clonarlo" è un'invenzione bella e buona, o al massimo l'ha detto qualche pazzoide su Internet. Per non parlare della solita storiella del "litigio con gli altri Beatles" che è un'altra leggenduola internettiana.
    Inoltre ci sono anche altre imprecisioni. Da Beatles For Sale, al Novembre 1966 c'è anche "qualche altro" album dei Beatles, magari ne avete dimenticato qualcuno non proprio trascurabile...

  • glaucart8 anni faRispondi

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