Petrina - Quel principe di David Byrne

Secondo disco per Debora Petrina, ospiti di lusso come David Byrne (Talking Heads), John Parish (PJ Harvey) e Jherek Bischoff (Xiou Xiou), testi sia in italiano sia in inglese, a conferma di una vocazione internazionale pervicacemente coltivata. Di Renzo Stefanel.

Petrina
Petrina - Foto di David Prando

Secondo disco per Debora Petrina, intitolato semplicemente col suo cognome, ma stavolta niente autoproduzione: etichetta Ala Bianca, distribuzione Warner, ospiti di lusso come David Byrne (Talking Heads), John Parish (PJ Harvey) e Jherek Bischoff (Xiu Xiu), testi sia in italiano sia in inglese, a conferma di una vocazione internazionale pervicacemente coltivata. L'intervista di Renzo Stefanel.

Il teaser ti mostra in bilico tra dimensione paesana (la vecchietta nordestina che protesta per il rumore) e internazionale (la frase "Fermate il rumore" ripetuta in varie lingue): una metafora del tuo essere musicista, ben salda a Padova ma con contatti in tutto il mondo. Quanto è intenzionale? E cosa mi dici di questa tua dimensione, tanto esistenziale (nel senso che effettivamente vivi a Padova e hai però i suddetti contatti) quanto artistica (nel senso che almeno alcune tue canzoni si ispirano a microstorie di una città di provincia)?
Il significato del teaser è proprio quella parola, “rumore”, e il suo significato. Quando, come, e in che contesto ciò che riteniamo musica diviene rumore fastidioso? E viceversa, ciò che è considerato rumore diventa invece musica?
La vecchietta non è solo una figura folcloristica, che è pure parte del mio vissuto condominiale, ma è un paradigma della società e delle sue idiosincrasie: Padova è un perfetto esempio di club musicali costretti a chiudere per un fastidio provocato al vicinato, quando magari una tv a tutto volume con le finestre aperte non è considerata molesta. E così ci si può spingere ancora più in là, al significato che le parole musica e rumore rivestono nel nostro vissuto: una radio che spara una voce alterata dal Melodyne in un pezzo pop è musica o fastidio? E un'improvvisazione di free jazz? E un cantautore non ben intonato che ribatte accordi abusati di chitarra? E una chitarra elettrica distorta? E un pianista che ripete ad nauseam arpeggi scontati e motivetti infantili?

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Nel teaser ti si vede anche in difficoltà nel comporre: questo disco è stato compositivamente un parto difficile?
Nel teaser il mio ostinarmi a ripetere al piano, sbagliando, un riff (che è poi quello del singolo “Denti”) è solo un pretesto caricaturale. In effetti, come nel video, spesso il mio piano è preparato con oggetti che fan vibrare le corde in modo strano...
Al contrario le idee musicali, e i testi, non hanno mai una genesi travagliata, o un'ostinazione a vestire abiti stretti o difficili da mettere. Nel caso di quest'album alcuni brani, prima nati al pianoforte, han trovato subito il loro habitat in sala prove, grazie all'aiuto di chitarristi, bassisti e batteristi sapienti; altri invece necessitavano di arrangiamenti scritti, con parti di archi e fiati in cui mi sono cimentata per la prima volta.

"Denti", il singolo apripista dell'album, mostra una mutazione stilistica notevole: funky alla Parliament, con un tocco di Talking Heads, ma con un cantato che ricorda tanto Rettore (un'altra che usava solo il cognome...) quanto Jo Squillo dei tempi d'oro. Imprevedibile Petrina!
“Denti” è nata da un gioco. Mi era stato chiesto da Michele Monina di scrivere una canzone su una parte del corpo femminile e inizialmente mi era stato richiesto di scriverla sul sedere. Michele è un amico e un intelligente provocatore e con quella “proposta indecente” intendeva solo stimolare la mia vena ironica... Ma in questo caso mi ha sopravvalutato, perché non avevo niente da dire su quella parte del corpo. Così mi sono rifiutata categoricamente, e durante una seduta dal dentista (un simpaticissimo e saggissimo 75enne che mi segue dall'adolescenza) mi è venuta in mente l'idea della canzone. I miei denti hanno molte storie da raccontare, che il caro dentista conosce bene, ma in questa canzone ho voluto andare più a fondo e farne simbolo della mia vita di musicista, che, similmente a quella di molti altri, deve combattere con le unghie e coi denti...

David Byrne (col quale eri in contatto già da tempo), John Parish, Jherek Bischoff: come è avvenuta la vostra collaborazione? E cosa dobbiamo aspettarci dall'album, stilisticamente e rispetto ai generi musicali?
È avvenuto tutto via mail. A Byrne ho chiesto di cantare perché avevo sentito una sua versione di “Un dì felice” dalla “Traviata” e mi piaceva troppo come cantava in italiano. Gli ho mandato una melodia: la seconda parte era troppo alta per lui, così ho tenuto solo la prima parte. Alla fine ci siamo anche incontrati: lui era nella giuria della Biennale cinema. Ero un po' agitata, devo dire. Lui è arrivato in bici, al Lido. Sembrava il principe sul cavallo bianco. Abbiamo pranzato in un ristorante costosissimo. Il brano aperto dalla sua voce è “Lina”, che si chiude con quella di mia mamma. Su questo pezzo ho pensato di cimentarmi per la prima volta nella composizione per fiati ed archi e di registrarli uno ad uno, assemblando poi il tutto alla fine, con un arrangiamento per tre sassofoni, violoncello, fisarmonica, elettronica e pianoforte.
La collaborazione con Jherek Bischoff, mi è stata suggerita da David Byrne. Jherek infatti è compositore e musicista per lui e per molti dei gruppi avant-rock di spicco a New York e Seattle (Parenthetical Girls, Xiu Xiu, Amanda Palmer, Carla Bozulich ecc.). Nel disco ha orchestrato una mia traccia (che appare nell'album anche nella versione rock originale, “Sky-Stripes in August”) e registrato ogni singolo musicista correndo a casa di uno e dell'altro con la sua bici e lo zaino pieno di microfoni. È stato lui la fonte di ispirazione che mi ha spinto ad arrangiare “Lina” come ti ho detto.
John Parish l’ho incontrato dopo il concerto di PJ Harvey a Ferrara, ma è stato per qualche minuto. Lui mi aveva fatto i complimenti per una canzone (“I fuochi d'artificio”) e io gli ho chiesto se gli andava di mettere la chitarra in un pezzo. Mi ha risposto di sì. Così fa una schitarrata in “Princess”, che sarà il secondo singolo dell'album.
L’album è vario, ma in generale presenta una Petrina più “dritta”: tieni comunque presente che ci hanno suonato 25 musicisti. Ci sono undici brani nell’edizione deluxe, digitale, con 15 minuti in più.

Tanta roba. Non è rimasto fuori nulla?
Beh, ci sono un paio di pezzi in inglese, ispirati tra l'altro al quartiere Palestro di Padova, dove sto, a personaggi particolari che lo abitano, personaggi toccanti, almeno per me. Uno è travestito sudamericano che è scomparso, nel senso che non lo si vede più. La sua macchina era rimasta per mesi davanti alla clinica Villa Maria, piena di edera; poi è sparita anche quella. Di notte era una strafiga in minigonna, di giorno lo trovavi al Despar, completamente sfatto, in jeans.
Un altro è un matto che gira con un fischietto, strabico. Un giorno ero dal fruttivendolo e lo si sentiva fischiare da fuori (va in giro col fischietto da vigile di suo padre, che era vigile), il fruttivendolo mi fa: “Quando il matto fischia, il tempo se spaca”. E mi ha detto che da giovane “incantonava” le donne: insomma, le violentava. Sono sempre affascinata da questi personaggi, violenti ma innocenti al tempo stesso.

E questi personaggi ti hanno ispirata a una musica più nervosa, dunque.
Diciamo che mi sono sentita più affine io a queste situazioni di dolore.

I personaggi e i pezzi a loro ispirati insomma sono specchi parziali o simbolici di una tua situazione interiore?
Certo. Sono sempre un pretesto per parlare di altro. Di qualcosa che mi riguarda nel profondo.

"Petrina" era pronto da tempo: aspettava solo un'etichetta. Quanto ti riconosci ancora in esso?
Ogni pezzo di quest'album va da un minimo di 5 a un massimo di 11 strumenti, dunque la grande sfida è quella di rifare completamente gli arrangiamenti in tre, con synth, chitarre, effetti, oltre alla batteria.
Dunque i pezzi si rinnovano sempre, anche quando mi ritrovo a fare concerti da sola al piano, in una veste completamente diversa.
Nel frattempo nuovi brani nascono di continuo, e io non resisto a proporli in concerto, ma anche quelli “vecchi” non sono mai davvero tali. In questi giorni sto lavorando molto agli arrangiamenti live, ed è come comporli di nuovo, da capo; alcuni cambiano completamente faccia, rispetto alle registrazioni, e questo dà loro una nuova energia e freschezza.

Promozione, video, concerti?
L'importanza dell'etichetta e del distributore, oltreché dell'ufficio stampa (Unomundo), e la partecipazione a quest'avventura di più booking, di area sia indie-rock sia pop sia ùjazz, mi può solo far bene sperare!
I videoclip pronti al momento sono due, relativi ai due singoli, e usciranno nei tempi decisi dalla promozione. Il primo, “Denti”, fra pochi giorni, in concomitanza con l'uscita del disco: abbiamo fatto le riprese lo scorso agosto a Padova, sul sagrato della chiesa San Giuseppe. È molto divertente, con l’attore Marco Tizianel che fa tutti i personaggi contro di me e viceversa. Il secondo, “Princess”, uscirà un po’ più in là e ha una bambina in scena. È in lavorazione anche un terzo videoclip, preso in carico da un italiano che vive e lavora a Londra per la BBC: è un'animazione mescolata a riprese dal vivo. Ma per lui ci vorrà un po’ di tempo. Per quanto riguarda i concerti, vorrei segnalare due importanti appuntamenti al festival internazionale che Paolo Fresu organizza a Berchidda, in estate: ci sarà un concerto con la band al completo, e un concerto da sola, col pianoforte, dentro ad una pineta, con una partecipazione speciale dello stesso Fresu!

Hai mai pensato di trasferirti a Milano? Tanti lo fanno...
Milano purtroppo non offre nulla di quello che potrebbe, dal punto di vista musicale. È proprio di questi giorni la notizia che un luogo di incontro musicale fondamentale come la Casa 139, che ha ospitato centinaia di artisti importanti, è in affitto. Se ci sono dei riflettori, sono solo illusori, perché è la vita concreta musicale che manca, e in questo Milano è solo lo specchio di quello che è il nostro Paese oggi.
“Milano non è la verità”, dice una canzone degli Afterhours. E io sono d'accordo con loro.

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L'articolo Petrina - Quel principe di David Byrne di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2013-04-12 13:56:45

Tag: padova

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