L'Odissea di un provinciale che vuol farsi tutti i concerti

Giorni di ferie a lavoro, viaggio infinito, spese assurde: siete degli eroi

Foto tratte dal film "Il ragazzo di campagna" (1984, Castellano e Pipolo)
Foto tratte dal film "Il ragazzo di campagna" (1984, Castellano e Pipolo)
25/07/2019 - 11:11 Scritto da Simone Stefanini

C'è un morbo che contagia alcune persone e rende loro la vita impossibile. Non andate subito a googolare, non è una malattia che si può sconfiggere in versione fai-da-te né un germe di nuova generazione, piuttosto una passione insana che conduce la persona che ne è affetta a vivere una vita di stenti e sacrifici, additato in pubblico dai concittadini e schifato sul luogo di lavoro. È il provinciale che si fa tutti i concerti che gli piacciono. Per provincia non parliamo di uno di Sesto o di Frascati, bensì di quell'altissima percentuale dello stivale in cui d'estate non capita un cazzo e d'inverno meno. 

Voi, cittadini fortunati che quando finisce il concerto dopo mezz'ora siete già a letto, pronti per lavorare il giorno dopo, ci pensate mai a quei poveri cristi che per vedere un live a Milano o a Roma devono prendere due giorni di ferie? Per loro, il concerto è un'Odissea senza pari, che andiamo ad argomentare. Per prima cosa la quest per il biglietto, ma almeno quella è democratica e tocca tutti: quando su TicketOne appare come per magia il pit o il posto unico in piedi, le spallate virtuali vengono giocate in tutti i campi d'Italia e l'odio verso i bagarini diventa quasi solido, specie se state smattando dietro l'acquisto che non si riesce a concludere per via di chi ha comprato 10 biglietti alla volta. 

Bene, quando i provinciali sono entrati in possesso del biglietto, iniziano ad organizzarsi e lì si apre la voragine infinita, la gora dell'eterno fetore che li trascina verso l'abisso. Innanzitutto la domanda regina: "Quando è il 23 luglio (data a caso)? Merda viene di martedì." Da quel preciso istante gli sventurati iniziano a consultare il catalogo delle scuse, quel libro mastro in cui hanno annotato tutte le motivazioni palesemente inventate per saltare il lavoro quando sono andati a un concerto distante minimo 350 km. "Dal dentista non l'ho mai detto ma non ci posso campare due giorni, altrimenti poi pensano che sia infettivo; arrivano i miei parenti dalla Germania non li vedo da anni ma si fermano dalle parti del Rock in Roma devo proprio andare a salutarli altrimenti mi depennano dalla lista degli eredi. Dai, proviamo."

Il vostro capo annusa la cazzata da lontano ma è magnanimo e vi lascia andare, oppure dovete fare dei cambi turno allucinanti promettendo ai vostri colleghi favori e strenne per tutta la stagione, ma alla fine ce la fate. Ottimo, non resta che partire, vero? Falso. Per ogni concerto lontano anni luce dal vostro umile centro abitato dovete fare dei calcoli che avrebbero inceppato anche il computer di Stephen Hawking: treno o macchina? Torniamo subito dopo o dormiamo lì? A che ore partiamo? Il cane a chi lo lasciamo? Queste e altre mille variabili consumano il sonno e la veglia degli eroi che partono dalla provincia per riempire un'arena in città. Pensate per un attimo a quegli sventurati che abitano in Sicilia o Sardegna, per loro ogni concerto è mezza settimana di ferie, quindi capite da soli la responsabilità che dovrebbero mettere i musicisti nel fare il concerto della vita, anche solo per quei paladini la cui abnegazione è lodevole al pari dei pompieri di Ground Zero. 

Se optate per il treno d'estate e vi fate 5 ore minimo, alla venue ci arrivate dentro una cassa di legno a causa dell'escursione termica di 20 gradi che vi causa la congestione fatale. Se optate per le comode 4 ore di macchina, parte la conta meschina: chi guida? Una volta individuato il personaggio più propenso, quello che non beve e che non si addormenta neanche quando tutti sono in coma, si parte e lì c'è solo da affrontare Autostrade Italiane con tutto ciò che ne consegue: camion che sorpassano ai 150, tedeschi in BMW che ti sfanalano ai 200, tapini con la Panda dell'84 che guardano il cellulare e intanto zigzagano, Autogrill che vendono panini con una sottiletta e una fetta di mortadella sudata a 7 euro e 50, la cazzo di noce di prosciutto al pepe che vi guarda come i sequestrati dell'Aspromonte, il libro illustrato di Fedez dedicato a suo figlio, il best of di Gianna Nannini in cd e la fila in bagno. 

Quano arrivate nel luogo del concerto, l'arena è già piena a metà mentre voi fate ancora i calcoli per capire dove parcheggiare per uscire dalla città nel più breve tempo possibile per evitare l'ingorgo, che in ogni caso vi terrà in macchina stanchi morti a fare prima seconda prima seconda per due orette buone dopo la fine del live, momento in cui si concentreranno tutte le energie blasfeme dei passeggeri, una volta esaurite le quali crolleranno esausti lasciando il guidatore in quella bolla di ineluttabilità che è il guidare di notte per ore da solo, cullato dal russare dei bastardi a cui egli toglierà il saluto per un mese. Pericolosissimo, non fatelo a casa. Se il giorno dopo dovete tornare a lavoro ma rischiate di morire, riproponete la cazzata della nonna morta e fatevi un pit stop in un b&b, assolutamente raccomandato.

Cioè, sarebbe raccomandato se non fosse che ogni tanto, con la parte razionale del cervello, iniziate a fare i calcoli monetari e arrivate a cifre folli, con cui potevate fare un volo a/r per Hollywood e invece siete a Milano tra le zanzare a vedere i Muse che fanno pure cacare, con le tasche piene di token che non servono a niente, col vostro capo che vi odia e vi manda messaggi palesemente artefatti in cui vi chiede come stanno i parenti dalla Germania e voi che non potete neanche postare su Instagram le foto del concerto pena lo sgamo e il licenziamento. Quanto avete speso? 300 €? Sossoldi. Per lo stesso evento, il local spende solo il costo del biglietto più una ventina di € giusto se vuole panino e birra, voi invece avete comprato una lavatrice nuova.

Quando tornate a casa nascondete la maglietta presa al merchandising ufficiale versando 40 comodi €, per non dare nell'occhio ai colleghi delatori e, dopo doccia e un'ora e mezzo di sonno dei giusti, andate a lavorare con lo sguardo acceso e sveglio di Vasco Rossi da Mike Bongiorno senza condividere con nessuno l'esperienza, pena il ritorno in coda all'ufficio di collocamento e già sognate il concerto successivo. Voi provinciali che non ve ne perdete uno, sardi che portate le bandiere, molisani che esistete nonostante le voci vi vogliano invisibili, trentini che sareste più vicini all'Austria ma lì non succede mai niente, salentini che se sentite un altro pezzo in levare vi vengono le bolle, toscani di campagna che siete distanti in misura perfettamente equa da tutto, calabresi che per raggiungere Milano invecchiate nel tragitto e la carta d'identità non più valida, tutti gli altri provinciali d'Italia: siete eroi, siamo con voi, avete tutto il nostro rispetto.

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L'articolo L'Odissea di un provinciale che vuol farsi tutti i concerti di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-07-25 11:11:00

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