Barber mouse Plays Subsonica 2012 - Jazz

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Le canzoni dei Subsonica fatte a pezzi. In senso buono: fatte a pezzi e rimontate su strutture jazz moderne che le trasfigurano senza snaturarle.

Ci sono due circostanze che gettano un velo di inquietudine sul momento del mio primo ascolto di questo cd: uno, il fastidio innato che mi provocano operazioni tipo “la filarmonica di Roccacocuzzolo plays The Rolling Stones” o “Nevermind per zampogna e ciaramella”, che mi sembrano sempre tentativi vani e pretestuosi di elevarsi dallo status di tributo. Due, l'amore acritico e indecorosamente adolescenziale per i Subsonica, che mi fa reagire tipo: “Ah! Come osano costoro profanare il sacro repertorio?”. Ma siamo qui per lavorare, quindi mi ricompongo e concedo ai Barber Mouse il beneficio del dubbio, se non altro perché il progetto è piaciuto a Samuel abbastanza da concedere il suo prezioso featuring, e chi sono io per non fidarmi di Samuel?

Dunque: i Barber Mouse fanno jazz, quindi il timore è l'effetto Bublé. Timore fugato, grazie, dio delle cover ben riuscite, stavolta pare che il tentativo di fare “qualcosa di diverso” non sia così vano e pretestuoso. Le canzoni sono smembrate, rimontate, scarnificate, spesso rese irriconoscibili, ma senza sperimentalismi ostici e gratuiti, anzi, tolto qualche episodio, resta quel tipo di jazz che si potrebbe ascoltare nel classico “localino”. E resta, soprattutto, il senso delle canzoni, che si sente sia dove è mantenuto in modo fin troppo fedele all'originale – “Incantevole” l'esempio lampante: la canzone più cuore-amore dei Subsonica diventa, almeno per la prima metà, una crooner-song tutta spazzole e voce sospirante – sia quando bisogna ascoltare più a fondo per coglierlo, e sono i momenti migliori: come le due versioni di “Disco Labirinto”.

La prima accompagna, con suoni secchi e slegati, un cammino in un labirinto pauroso, la seconda ci porta fuori dal dedalo per ballare una danza tribale. E se era facile vedere del jazz già nel ritornello originale tutto in levare di “Momenti di noia”, meno scontato era riuscire a rendere vivo il senso di claustrofobia di “Come se”, con percussioni che sembrano essere suonate contro le sbarre di una cella, o far diventare una cosa sola “Amantide” e “Livido Amniotico”. Tocca ammetterlo, ogni tanto i “tributi” riescono bene.

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La recensione Plays Subsonica di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-04-24 00:00:00

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