Outseason s/t 2002 - Rock, New-Wave

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Interessante questo demo degli Out Season, emiliani che si dimostrano, sin dalle prime note, molto abili nel confezionare brani di ottimo impatto e dal sapore agrodolce. Il gruppo attinge molto, come immaginario, alla scena di Seattle dei primi anni ’90, ed entro queste coordinate si muove con estrema agilità, inserendo di tanto in tanto anche qualche gradita soluzione di diversa natura.

Si parte con i cori stranianti - in pieno stile Alice In Chains - di “A non conventional flower”, brano con chitarroni stoner, passaggi sospesi di basso e batteria e che si caratterizza per il ritmo cantabile e melodia incalzante.

Il sound, sempre piuttosto compatto e corposo, riesce a dare il giusto punch ad una band che trova piena espressione nella bellissima voce di Gabriele, vocalist che in molte occasioni ricorda Brian Molko dei Placebo per il piglio tagliente della sua ugola. In ogni caso è una voce molto espressiva che sa assumere diverse fattezze nel corso del demo.

Proprio quello che succede nella traccia successiva, “Seal of love”, brano in cui ci si muove in maniera più spezzettata e dove la voce sa spostarsi con facilità dall’affilato alla Placebo al ‘sofferto e digrignato’ cantare di Eddie Vedder. Il pezzo è molto ricco di dinamica, con un geniale finale simil-psichedelico che ammorbidisce i toni ed allarga la visuale, fino a quel momento molto claustrofobica e ossessiva.

In posizione 3 troviamo “Falling leaves”, immancabile ballata dal sapore malinconico che aggiunge colori alla tavolozza degli Out Season. Quest’episodio potrebbe trovare degna dimora nell’album “Without you I’m nothing” dei Placebo, o in “Ten” dei Pearl Jam, per la sua capacità di unire melodia e sogno, concretezza e ricerca. Insomma, una novella “Garden” capace di toccare all’interno anche i più gelidi e di sciogliere anche gli ultimi dubbi sul talento della band.

Si chiude con “I am mine”, che conferma la buona propensione ad unire melodia in minore con ritmo accattivante. La struttura del brano ricorda certi Soundgarden arrabbiati ma non cattivi, melodici ma non sdolcinati. Siamo nello stesso mood di song quali “Fell on black days”, capaci di dare un valore aggiunto anche all’insoddisfazione e che meglio esprimono la natura agrodolce dell’anima grunge
Molto indovinate mi paiono, anche, alcune scelte di arrangiamento e registrazione come la voce, macchinettizzata dell’inciso della prima traccia, o il flanger nel finale di “Seal of love”, piccoli colpi di classe che di sicuro non passeranno inosservati alle orecchie più esigenti.

Per quanto riguarda le liriche sembrano scritte con discreta padronanza della lingua inglese e con buona personalità, ma avrei di sicuro gradito di più un tentativo in italiano, per testare la vera capacità di rimodellare modelli stranieri su un progetto autoctono al 100%. La soluzione scelta è indubbiamente molto azzeccata (funziona) ma a parer mio, nel 2002 è un po’ troppo comodo continuare a rifugiarsi nell’alveo rassicurante della lingua inglese, così ricca di fonemi che ‘suonano bene’ e in grado di celare anche eventuali incertezze liriche. Penso che oramai sia quasi un obbligo cercare di fare propri stilemi esteri, rielaborandoli in funzione della nostra lingua: Marlene Kuntz, Afterhours, Verdena e compagnia. dovrebbero aver insegnato che si può fare rock‘n’roll utilizzando, comunque, la lingua di Dante, ma evidentemente non sono ancora ritenuti, da tutti, valide riletture dell’ispirazione grunge.

In ogni caso, al di là di questa annotazione conclusiva, rimane un buon ricordo di questo demo, forse perché emerge songwriting di sicuro valore, magari senza eccessivi trilli sperimentali, ma certamente colmo di passione e calore.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-07-11 00:00:00

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