Tiny Tide White Monster 2013 - Lo-Fi, New-Wave, Indie

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Mark Zonda è unico. E’ mille persone e una sola. E’ un alfiere indie, shoegaze, lo-fi e pure quasi post punk; un figlio analogico degli Ottanta.

Mark Zonda credo sia un degli autori più prolifici in assoluto nella storia del mondo. Ti volti un attimo per controllare se hai lasciato acceso il gas e lui ha scritto un pezzo. Vai in bagno e nel frattempo lui ha partorito un album. Che cosa vuol dire? Vuol dire che se a Mark Zonda viene in mente un qualsiasi cosa da dire, lui la trasforma in musica. Vuol dire che lui pensa, evidentemente, musica. Non sono passati che pochi mesi dal mio ultimo incontro con i Tiny Tides (“Around the world in 80 dates”), una delle sue creature, ed eccoci di nuovo qui a commentarne un nuovo album. Non sto qui a fare il riassunto delle puntate precedenti; per quello, e per farsi un’idea generale del nostro protagonista, basta visitare la sua pagina e dare una leggiucchiatina in giro. Quello che ci serve sapere di “White monster” è che i pezzi che lo compongono sono undici, che la durata totale questa volta è di circa quaranta minuti e che, di nuovo, ciò che colpisce più di tutto è la texture generale che contraddistingue l’opera. Il marchio di fabbrica. La firma.

Un’opera nata come tributo a “Scary monster” di Bowie e “The dreaming” di Kate Bush. E probabilmente a un altro miliardo di cose che il buon Mark inserisce qui e là, da Kieślowski (“Kieslowski eyes”) a Bogdanovich (“The last picture show”), passando per Mike Bongiorno (“Mike tonight”) e per la divina Cat Power (“The power of the cat”), giusto per citarne alcune (sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito. Tipo: “Dogs from Seattle”, è un pezzo sui Temple of the dog?). Come funzione la mente, e di rimando il songwriting, di casa Zonda? Lo vedo, mi piace, lo prendo. Se c’è qualcosa che colpisce o che stimola le papille gustative del Nostro, questo si sente in dovere di renderne conto. Carta e penna alla mano e voilà, il ritratto viene steso. Un ritratto di base ruvido, hand made, a pasta grossa, sintetico e melodicamente sghembo. Senza dubbio originale e unico. Ecco. Unico. Mark Zonda è unico. E’ mille persone e una sola. E’ un alfiere indie, shoegaze, lo-fi e pure quasi post punk; un figlio analogico degli Ottanta. Uno che scrive pezzi che forse non rimangono propriamente in testa (eccezion fatta per la sua), ma che sapresti comunque riconoscere ad occhi chiusi. Un vero personaggio.

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La recensione White Monster di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-09-10 00:00:00

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