Un totale disastro dal punto di vista degli spunti melodici, originalità assolutamente non pervenuta e la definitiva necessità di svecchiare il sound.
"Hangover Death", "Delete Tomorrow", "All in Vain". Una tracklist (e un titolo) così possono voler dire soltanto due cose: o siamo davanti a del punk ortodosso classe '77, o questo è quel tipo di pop punk che andava tanto una quindicina di anni fa. Guardo l'artwork e sembra il logo della Billabong. Ok, la seconda.
I Silver Addiction sono arrabbiati, scontrosetti e vagamente privi di argomenti, in perfetto spirito adolescenziale. "Antisocial" comincia così: "Non ho amici perché non mi servono, non ho amici perché non li voglio". Okay, come preferite, ma dopo tre tracce di chitarra distorta e polemiche sterili devo prendermi una pausa. Sto per prendermi la seconda pausa da sfinimento perché ho la sensazione di ascoltare lo stesso pezzo da un quarto d'ora circa, quando inizia "Babylon", la prima a cambiare leggermente le carte in tavola aggiungendo un tantino di grinta in più (ricorda lontanamente una "The kids aren't all right" degli Offspring). Arrivo stremata al pezzo di chiusura, "Shame", e solo qui riesco a distendere un attimo i nervi. L'intro acustico ammorbidisce l'ascolto, il cantato si fa vagamente più sensuale ricalcando quelle tonalità un po' ruvide e calde tipiche di Eddie Vedder, ma prendete il paragone molto alla leggera.
In conclusione: un totale disastro dal punto di vista degli spunti melodici, originalità assolutamente non pervenuta e la definitiva necessità di svecchiare il sound. Capacità tecniche: medio. La sensazione è un po' quella che si siano persi quello che è successo nel panorama musicale mondiale dopo il 1998. Il consiglio è mettere mano alle scorte di curiosità rimaste immacolate da allora e, con quelle capacità che non mancano, cercare di produrre qualcosa di rilevante.
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La recensione All in Vain di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-10-07 00:00:00
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