The Sleeping Tree Painless 2013 - Cantautoriale, Folk, Acustico

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Uno sguardo schivo e affascinante per una via del tutto personale al folk acustico

Da piccolo passavo gran parte delle mie estati in Friùli (e non in Frìuli, come ho ben presto scoperto a mie spese), e lì avevo (ed ho ancora) un caro amico, con cui sono cresciuto nel corso di quelle estati. Eravamo e siamo due persone diverse, ma da lui - sebbene più piccolo di me - ho imparato tanto, volente o nolente. Questo disco di The Sleeping Tree mi ha ricordato questo amico, sarà perché viene dalle sue stesse terre, sarà perché ha un po' il suo stesso carattere.

Schivo, alle volte burbero, un po' spaccone per autodifesa: ma vero. Nel suo suono essenziale e profondamente deciso, nei suoi arpeggi segnati dal tempo eppure mai datati. Nella sua inafferrabilità, nella sua rinuncia alla melodia facile, anche quando la chitarra sembra indulgere negli anfratti più accoglienti del folk acustico (perché di questo stiamo parlando): come a dire, sì, la strada dei Kings of Convenience la conosco, ma tu segui me, che ti porto su un altro sentiero. E stai sicuro che quel laghetto di montagna lo vedrai sotto una luce diversa.

E' quel desiderio di indipendenza, di una via che sia unicamente propria alle cose, che sento molto in questo "Painless"; che pure non è un disco difficile. E' un disco intimo, direi quasi naturale se la parola non fosse ormai diventata un brand per tutt'altra roba. E' un disco che ho dovuto ascoltare a fondo prima di capire, perché al primo impatto rifiuta l'incontro diretto. Ma seguendo il sentiero che indica sono riuscito alla fine a sentire sottopelle quelle vibrazioni reggae ("Heart like a ghost") che all'inizio sembravano essere solo nella bio di Giulio Frausin, bassista dei Mellow Mood, e nei titoli di qualche brano ("Jah takes my soul", "Jah guide").

Mi sono trovato a immaginare quei pezzi suonati in tutt'altro modo, con la chitarra in levare, i cori, i fiati: e funzionavano, anzi erano belli. Ma forse questa, acustica, è la loro vera dimensione, quella che riesce a trasmettere meglio la spinta all'altrove, al voler essere qualcos'altro, da un'altra parte (che sia la Giamaica, che sia la Scandinavia, che sia semplicemente quella città tanto vituperata), senza al contempo lasciare i propri luoghi.

Come quei monti della Carnia, su cui qualche volta ci siamo spinti, io puntualmente indietro e il mio amico puntualmente avanti, con gli occhi scuri sempre fissi su qualcosa oltre noi, qualcosa di lontano: lo stesso sguardo ostico e affascinante, prezioso, di The Sleeping Tree.

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La recensione Painless di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-06 00:00:00

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