The Gentlemen's AgreementApocalypse Town2014 - Psichedelia, Jungle, Industrial

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Una storia di ordinaria umanità post industriale. Ascoltatevi bene questo disco, ché merita davvero.

A metà fra lo spettacolo teatrale e il concept album, il nuovo lavoro di The Gentlemen's Agreement racconta una storia di ordinaria umanità post industriale, che sfocia poi nell'autodeterminazione e nella consapevolezza che, tutto sommato, una via d'uscita allo squallore urbano c'è. Dimenticatevi tutto quello che hanno fatto nei dischi precedenti e ascoltatevi bene questo, ché merita davvero.

Un disco in cui le canzoni difficilmente riescono ad astrarsi dalle altre, vanno ascoltate tutte insieme e pure rispettando l'ordine suggerito dalla band. Sono intervallate da quattro Leitmotiv: il primo si chiama "INCUBO" e fa da intro, avventurandosi in una selva di rumori. Seghe, pialle, suoni tipicamente "lavorativi", condotti nel discorso narrativo grazie ai fiati. Ci si immagina avvolti nell'oscurità, mentre si entra in una fabbrica dove le persone lavorano.

"Moloch!" racconta poi dell'operaio che si sveglia di notte e va nella "grande fabbrica", che nell'immaginario industriale che hanno ricreato diventa una divinità terribile, che fagocita sogni e speranze e che va adorata nonostante tutto. Suoni industrial che si mescolano con un'attitudine "tropicalista": la melodia della voce, infatti, richiama la musica brasiliana, così come altre canzoni di "Apocalypse Town" si rifanno al lavoro di Tom Zé. Un mix affascinante, ben amalgamato, che ti prende per mano per portarti verso le chitarre in levare e un po' più scanzonate di "Il Milione", che parla però di debiti, turni, miseria e della voglia di una vita migliore. Non poteva mancare il pezzo dedicato al capo della fabbrica: "Dire Direttore", un altro bel cocktail di ispirazioni, tra mille strumenti assurdi (che si sono costruiti da soli) e ritmi sudamericani. "Senza le nostre mani tu che fai? Tu chi sei?", cantano i The Gentlemen's Agreement. Una critica illuminata, ironica e tagliente di un sistema che in molti, nei decenni, hanno contestato. Il direttore è la testa che le mani non se le sporca mai, comanda solo una moltitudine di braccia a cui spesso si fanno fare turni massacranti, senza garantire pieni diritti.  

Torna ancora il tropicalismo in "Rumore sui Rumuori", stavolta con quella saudade tutta brasiliana che segna la disperazione di una classe sociale. Rumori, tanti e diversi, che coprono i sentimenti e le individualità. E che cominciano pian piano a scomparire, nella narrazione, sciogliendosi nel Leitmotiv numero 2, "CONSAPEVOLEZZA", un passaggio mistico in cui risuona uno strano sitar (lo "psycho sitar", mi diranno poi nell'intervista). La fabbrica chiude, la città apocalittica va nel panico, la radio dice di scappare lontano. Una bella occasione di riprendersi la propria vita: ancora, ritmi brasiliani e ritornelli geniali ("stendi i panni l'aria è pulita e puoi farlo anche in città, l'autostrada è tutta fiorita e vediamo gli orti in città). Non è tanto la coscienza di classe a guidare questa piccola rivoluzione, ma la consapevolezza che un mondo pulito può esistere. La campagna come mito bucolico. Si passa così, dopo questo momento di riscossa, al Leitmotiv numero 3, "RISVEGLIO", ben più allegro e festoso degli altri. Il samba psichedelico è protagonista di un inno alla gioia tutto dedicato alla terra ("sacra più di dio sei terra mia"cantano in "Adeus"). Quasi orchestrale e in certi tratti maestosa è "Come l'acqua", il momento in cui si capisce che la scelta è giusta: ci si riprende il tempo e gli spazi, ricominciando a sognare ("Il tempo del sogno"). Si giunge alla fine, all'ultimo Leitmotiv, "EVOLUZIONE", reggae rilassato. Secondo la loro personale visione di come il mondo va avanti, per i Gentlemen's Agreement la rivoluzione non è altro che evoluzione. Un cambiamento profondo, verso il meglio.

E' il cambiamento profondo che hanno fatto loro per primi. Regalandoci questo disco che ha due-tre canzoni perla ed è una riflessione profonda e impegnata sulla vita e sulla società. E anche se è astratta e potenzialmente riconducibile a diversi periodi storici senza forse indicarne uno (questo) in particolare, gli spunti e i livelli di lettura sono tanti. Questa band è la prova che si può essere molto impegnati senza per forza sfociare nel combat rock e nella banalità. Colti, interessanti e ingegnosi, i nuovi Gentlemen sono promossi a pieni voti.

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La recensione Apocalypse Town di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-04-07 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • DishonestJohn10 anni faRispondi

    Complimenti, bellissima recensione!

  • faustiko10 anni faRispondi

    Un disco del genere se fosse uscito da New York avrebbe raccolto consensi a mani basse e articoli di sole lodi ovunque. Una delle "cose" italiane più belle da esportare all'estero quanto prima.