Il Triangolo Un'America 2014 - Rock, Pop

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Dimenticatevi gli anni '60, scoprite tutto il resto

A primo impatto, ascoltare “Un'America” sarà come rincontrare il rappresentante di classe del liceo e scoprire che è diventato buddista. Ma prima di sganciare il solito “Non sei più quello di una volta” aspettate un attimo ancora. Avevamo lasciato il Triangolo con il loro revival beat e nessuna pietà per quelli che odiano gli anni '60. Li ritroviamo con un lavoro radicalmente diverso su tutti i fronti, in cui il pop ha lasciato lo spazio a qualcosa di molto meno definito e molto più complesso, sicuramente più maturo e qualitativamente superiore.

Partiamo dalla musica, che è diventata più carica e graffiante, con arrangiamenti e produzione molto più ricchi e sperimentali. Benché non ci sia un passaggio di genere netto e tutto vada piacevolmente per tentativi, dando a ogni traccia una diversa inclinazione stilistica, "Un'America" non è di sicuro il disco da ballare che ci si sarebbe aspettati. E' un disco rock, con suoni più duri, che quasi rimandano al post punk che i tre avevano già sperimentato in gioventù. E'  un lavoro denso, da interpretare e rifletterci su.

Passiamo ai temi: se “Tutte le Canzoni” raccontava storie, l'ultimo lavoro sembra più una raccolta di discorsi iniziati e lasciati aperti, suggestioni lontane e affermazioni prive di una soluzione, che vivono attraverso una scrittura personale, ermetica e bellissima. Una scrittura che riesce a incuriosire benché rimanga difficile da interpretare (e non è così facile tenere qualcuno in ascolto quando non si capisce di che stai parlando) e che racconta di gitani, colonialismo, religione e outsider. Anche il modo di approcciarsi all'amore cambia profondamente: "Varsavia", il vero capolavoro del lotto, è una storia d'amore e di lontananza che ha più il sapore di una guerra mondiale che non di una tresca in un drive in raccontata da Danny Zuko. Ed è forse l'unica delle dieci che andrà a segno al primo colpo, quando schiaccerete play. Per le altre serviranno almeno un paio di ascolti, il tempo necessario per metabolizzare tutto quello che non vi stavate aspettando.

Sembra che i tre ragazzi di Luino abbiano deciso di cambiare emisfero, passando dall'America di Elvis a quella – come dicono loro stessi - di Gabriel Garcia Marquez. Un'America senza glamour, scalza, sporca di terra e disincantata, che ripone tutte le sue speranze in un'El Dorado sempre a un passo più in là. Andate a sentirli dal vivo: la voce di Marco Ulcigrai diventa sempre più mostruosamente bella e la cosa peggiore che vi potrà capitare è di scoprire che il rappresentante di classe forse vi piace di più adesso. Misticismo compreso. 

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La recensione Un'America di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-26 00:00:00

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