King Size demo 2002 - Rock'n'roll

Immagine non trovata precedente precedente

Questo demo mi ha disorientato non poco: lo ascolto, lo lascio lì da una parte deciso a non scriverne, poi lo riprendo in mano proprio oggi, nella giornata più calda degli ultimi 200 anni, col PC che si impalla ad ogni riga. Niente copertina, niente testi o informazioni sui componenti del gruppo e titoli scritti col pennarello sulla custodia. Ma non è solo questo che mi blocca: la registrazione innanzitutto, quella sì è la vera pecca del promo, ma vado avanti comunque.

Constato così che i King Size fanno rock, di quello più schietto e radicato che ci è dato di sentire, tanto che al sottoscritto ricordano parecchio certo garage-punk, dagli Stooges in qua per intenderci. Nel primo brano, però, si palesano evidenti i ripetuti ascolti di Beatles e derivati: la voce è fresca, ma davvero troppo staccata dal resto e un po’ imprecisa, tanto che al giorno d’oggi è difficile trovare cantanti che incidono stonature con tanta leggerezza. “Wall of cry” parte invece con un timbro più darkeggiante, che caratterizza anche “My wave”, dove le influenze sembrano spostarsi verso i Cure di “Boys don’t cry”. Il terzo pezzo è quello che convince di più, forse per il suono sporco - ma anche più deciso e omogeneo - e per le idee in esso contenute, a partire dagli stacchi (‘two/three/four’), molto sixty. È perciò inevitabile che su “Kissing the stars” tornino subito in mente gli Strokes, quasi a rassicurarci sull’idea che nel 2003 sia ancora possibile ascoltare un gruppo di base alle prese con un rock derivativo al posto del semplice punk. Certo, qui manca la voce distorta e - immagino - un padre miliardario, ma l’immaginario di riferimento è lo stesso! E pensare che dall’adesivo sul cd avrei subito pensato ad un gruppo di hip-hop, mentre i King Size portano i capelli a caschetto, le Converse e le giacche di pelle.

Nei pezzi successivi sono poche le sorprese: “Burning palace”, su cui ci sarebbero da rivedere i cambi di tempo e l’accordatura del basso, ricorda un po’ i Clash (e non solo per il titolo), mentre su “Call me now” e “Idea” la band gioca la carta della ballatona acustica (due brani che fanno tanto venire in mente il folk alla Nick Drake), con una convinzione un po’ svampita nel primo caso e più riuscita nel secondo. C’è infine tempo per un brano live cantato per metà in italiano che ricorda piacevolmente il beat italiano degli anni sessanta (dove, a parte il suono dall’oltretomba, direi che il confronto con la lingua madre è riuscito).

Complessivamente, comunque, una buona produzione in studio aiuterebbe i ragazzi a differenziare soprattutto qualche arrangiamento e a uscire dallo schema di accordi un po’ statico e didascalico della chitarra e dall’immancabile ‘quattro’ della batteria col mantra dell’hit-hat. Ma mi arrendo e capisco che si tratta di una registrazione molto immediata e la pianto con le critiche di questo tipo. Chiudo quindi rimandando ad un giudizio meno severo nel momento in cui la qualità della registrazione sarà migliore e verrà magari scelta una scaletta meno dispersiva e più contenuta.

---
La recensione demo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-07-13 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia