Viva Muerte Candita! s/t 2003 - Lo-Fi, Rock

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Questo lavoro dei Viva Muerte Candita! ha le caratteristiche tipiche dell’ambivalenza: indigeribile ed addirittura irritante in alcuni momenti, è a tratti assolutamente geniale. Cagata pazzesca o perla avanguardistica, qui non ci può essere via di mezzo. Io propendo per la seconda ipotesi, ma non lo dico troppo forte, ché poi qualcuno potrebbe prendersela a male. Di sicuro si tratta di un lavoro assolutamente originale.

Registrato da due mattacchioni che evidentemente amano suonare e registrare - fare di tutto con gli strumenti che il caso gli offre senza immaginare alcuna regola né limite - questo demo è inqualificabile: anzi non è nemmeno un demo. È un delirio. Uno dei due titolari si presenta sotto lo pseudonimo Notbremse (qualcuno forse già lo conosce per le sue scorribande minimaliste a nome Hoechst …), mentre l’altro per l’occasione s’è insignito del titolo di Dottor Cristian Credi.

Il cd apre con due tracce di sapore leggermente waitsiano, si direbbe, ma l’illusione di aver incontrato due pensosi suonatori di swordfishtrombones svanisce presto: uno spirito dada-sperimentale e dissacratore affiora presto a travolgere ogni disegno d’insieme. Così se la prima traccia di un minuto abbondante è intitolata incomprensibilmente “Quarantacinque secondi” (criptica allusione al quarantacinque giri?), la seconda inizia con una marcetta sgangherata e finisce in rumoreggiamenti sonici.

Paradossalmente, anche quando suonano la canzone più insensata i Viva Muerte Candita! sembrano compresi nel loro ruolo; passano da intermezzi naif (“Beta minstrel”) a cigolamenti equivoci e leggermente mefistotelici: “Or Or S”, “I dream of you naked, baby”. Urlano in più di una canzone importuni «uhu» su monotoni e martellanti boogie di chitarra: “Rock-n-Roll Every Day, Party Every Night”. In “You’re so shy” si inizia con loop elettronici distorti, poi si innestano ancora citazioni anni cinquanta coperte da frastuoni e coracci sguaiatissimi.

Non che l’album sia perfetto, anzi forse è pieno zeppo di difetti, ed a volte si prova smarrimento di fronte a questo inassimilabile magma sonoro. È vero però che in tanti preziosi momenti i due riescono a fare cose di sublime stupidità. Ciò succede ad esempio quando si travestono da epigoni cerebrolesi dei Beatles in “It’s probably you”, parodiando forse “Taxman”, e in “Ciccipiru” riprendono balbettando il refrain di “You won’t see me” - per innestarvi poi in chiusura incongrui ed esilaranti sbeffeggiamenti di Louis Armstrong. Di primo acchito si potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad un lavoro demenziale: ma ad un ascolto attento diviene evidente l’assoluta serietà dell’operazione. Prendiamo “Big Fat Ma' Blues”: un blues, appunto, ma tanto improbabile quanto assolutamente convincente nella sua registrazione precaria e scricchiolante; l’ascolto di questa traccia risolleverebbe il morale ad un maniaco depressivo. Il testo è un domanda-e-risposta esilarante, in aria forse di John Spencer: “I got a woman. Don’t you know she treats me no good?” - “I know, I know”. L’incedere dell’album è assolutamente scostante: così se in “Ispettore Swhgrefstzoc, il caso è tuo” affiorano sognanti e felpate melodie di chitarra, subito il duo si smentisce con il refrain retrò di “We go to disco”, cui si aggancia “Pelt”, una coda sonico-psichedelica in aria Sonic Youth.

Qualcuno potrebbe affermare che si tratti di un lavoro inconcludente. Ma forse per gli autori questo, più che un’offesa, sarebbe un complimento. È per scelta infatti che i Viva Muerte Candita!, più che parlare, balbettano. L’autocompiacimento ludico li spinge a demolire gli stereotipi - così masticano un inglese sbeffeggiato, fanno a pezzi la forma canzone, ogni tanto lasciano affiorare schegge melodiche per poi sotterrarle d’inquietudini elettroniche e suonacci ultrariverberati. Nessuna idea è volontariamente portata a pieno compimento. Ciò che traspare comunque è un’innegabile freschezza d’idee ed un salutare, scapestrato, spirito iconoclasta. Album “cialtrone” per definizione stessa degli autori, per chi scrive si tratta già, sicuramente, di un piccolo cult.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-07-15 00:00:00

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