Joseph Loud Per aspera ad astra 2012 - Rock, Elettronica, Alternativo

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Non raggiunge le sperate stelle, ma l'eterogeneità di Joseph Loud non passa inosservata

Forse non proprio per aspera ad astra, ma di certo il lavoro del 2012 di Joseph Loud ha una costruzione se non altro particolare, un viaggio che si evolve da un pop viscerale a qualcosa di molto più astratto. L’inizio è quanto di più consueto ci si possa aspettare da una produzione che vuole farsi piacere: tre tracce pop veloci, intense e raggianti, poggiate su un ritmo rock danzereccio che ricordano molto da vicino una versione spoglia da synth di Owl City o del Jónsi di “Go”. La formula viene riproposta in una prospettiva diversa nelle successive “Insanity” e “I wish”, nelle quali gli elementi di base rimangono gli stessi, ma il tono cambia da quello spensierato ad uno più malinconico. “Watching TV”  chiude questo ipotetico lato A senza aggiungere nulla di diverso a ciò che è già stato presentato.

Se fin qui la costruzione non sembra proporre nulla di differente dal tipico costrutto pop rock con lo scopo principale di suonare e divertire, con l’inizio della settima traccia tutto cambia. L’atmosfera viene completamente ribaltata così come la matrice del disco ed i suoi elementi di base, non sembra nemmeno più che vi sia sul piatto lo stesso LP. “You are my angel” ci accoglie con un coro lirico e ci introduce in quello che può essere definito il lato B, non tanto per la sua reale divisione quanto per la direzione intrapresa, opposta rispetto a ciò che veniva proposto poco prima: la chitarra e la voce sono fatte fuori, la batteria è in parte sostituita dalla drum machine, il ruolo del basso risaltato ed accostato dal campionatore. A farla da padrone è un’elettronica divisa tra IDM e techno spezzata solo da elementi della musica classica perfettamente amalgamati alla melodia ibrida, creando un contrasto tra i suoni artificiali e i suoni puri del piano e del violino.

La quasi totale mancanza di testo dona a queste canzoni una maggiore inconsistenza, evidenziata anche per la forma canzone non ben delineata. Molteplici sono le influenze e i sound citati, come i richiami gotici di “You are my angel” o come il ritmo tribale di “Le Poetesse” che viene accompagnato sul finale dalla leggerezza del pianoforte. Ma la musica classica e i suoi strumenti sono protagonisti principalmente nelle due tracce seguenti, “Harsh winter” e “Light Skin”. Nella prima il loro intento è quello di stemperare la melodia quasi big beat, invece nella seconda donano un tratto etereo, l’impalpabilità dei Radiohead di “Amnesiac”. La tracce antecedenti al finale lasciano nuovamente maggiore spazio agli strumenti acustici e prendono spunto dal jazz in “Take it easy” - la quale fa il verso contemporaneamente ai Daft Punk di "R.A.M." e ai Pink Floyd - e dal fusion in “What a groove”. Chiude la breve “Blind Date”, che propone l’ennesima elettronica spedita.

Due anime totalmente contrapposte che trovano davvero pochi punti di contatto. Un lavoro che sembra formato da due album diversi incastrati insieme, e forse proprio per questo sarebbe stato preferibile mantenerli in due produzioni separate piuttosto che tentare questa raccolta onnicomprensiva. In ogni caso la qualità delle singole tracce è ottima: il pop della prima parte è accattivante e le sperimentazioni della seconda risultano azzeccate. Ma non ci si può esimere dal valutare anche la forma dell’album nonché gli accostamenti delle canzoni, e qui rimangono dei forti dubbi che minano il risultato del progetto in sé: due concezioni di musica che nulla hanno a che fare l’una con l’altra, costrette a forza a condividere uno spazio comune. Probabilmente era intenzione dell’autore rievocare il detto latino citato nel titolo e creare uno sviluppo che lo ripercorresse, ma questo obiettivo non si può dire centrato in pieno; non vi è quella compattezza da concept che giustificherebbe la ratio dietro a questa eccessiva varietà, le canzoni viaggiano da sole e non vi alcuna armonia o collegamento tra queste. Rimane un bell’ascolto, a patto di essere pronti ad affrontare i voli pindarici di forma e concezione del disco.

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La recensione Per aspera ad astra di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-12-13 00:00:00

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