STEFANO NOTTOLI Lo chiamavano Parafango 2015 - Cantautoriale

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La storia di Leo, alias Parafango. Narrata dal talentuoso Stefano Nottoli.

Che avesse talento era palese sin da quando se ne uscì con “Ritagli di tempo”, la sua opera prima. Un disco denso di gioia, ricco di tziganate assortite e sorretto da un apprezzabile cantautorato sghembo. Tre anni dopo, Stefano Nottoli torna sui propri passi e tutto quel che aveva messo assieme in quel 2012 rieccolo qui. Corredato da un discorso più ampio. E da un pizzico di ambizione che non guasta mai.
Perché stavolta le canzoni non bastano. “Lo chiamavano Parafango” è un concept-album, verrebbe da dire un racconto in stile Edmondo Berselli. Ove si narra di Leo, detto Parafango, eroe della provincia italiana profonda, uscito indenne dalla fase della ricostruzione post seconda guerra mondiale e approdato alla vita sulla scorta di qualche speranza. Prima fra tutte diventare un affermato ciclista professionista, e poi innamorarsi di una brava fanciulla e metter su famiglia. Peccato che il povero Leo incappi in una disastrosa partecipazione al giro d’Italia e che la brava fanciulla di cui sopra diventi presto preda di un prete poco incline alla spiritualità. Andrà tutto romanticamente a rotoli, il tempo rimanente avrà il sapore di una bottiglia di rum, in uno sfondo di avventure tragicomiche (un lupanare scambiato per una balera) e inesorabili trasformazioni della società (leggasi l’introduzione della legge Basaglia).
Nottoli introduce i dieci episodi dell’album con brevi recitativi, quasi a voler spingere la sua opera verso una sorta di teatralità spinta. E teatrale è anche il modo di interpretare un album saldato da una band viva (La Carovana) e sicura di sé, abile nel tenere alta la tensione della narrazione. Ne deriva un suono il più delle volte scoppiettante, intenso, acceso. C’è l’amore per il jazz, il blues e il rock, per Vinicio Capossela e Tom Waits, per il ragtime e il dub, per la musica da strada, c’è l’equilibrio pressoché perfetto tra le componenti elettriche e acustiche. E non mancano nemmeno ironia e poesia, distribuite equamente e in quantità industriali, tanto da rendere “Lo chiamavano Parafango” una performance ben riuscita e meritevole di un giro tra i palchi di qualche teatro sparso per lo Stivale. Che forse è la speranza, si spera non vana, dello stesso cantautore toscano.

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La recensione Lo chiamavano Parafango di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-03-14 00:00:00

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