Nina Madù e le Reliquie Commestibili Octopussa 2015 - Sperimentale, Alternativo, Electro

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Sulla scia di Jannacci, quarant'anni dopo.

C’è molto della lezione di Enzo Jannacci, quello dei dischi della seconda metà anni Settanta, il periodo “Ultima Spiaggia” (intesa come etichetta discografica), da “Quelli che” (1975) a “Fotoricordo” (1979). Sarà la comune origine meneghina, sarà la nostalgia che la band dichiara per la Milano dei tempi che furono (in particolare citano “la vecchia Casbah milanese, le viuzze tra Sant’Agostino e la Darsena, un tempo teatro della straordinaria pacifica convivenza tra mala, prostitute e travestite, che vivevano ne “La casa delle bambole”, condominio un tempo riservato all’accoglienza dei clienti”), ma in un brano come “Social Network” l’influenza di Jannacci è pesantissima, specie nell’interpretazione di Camilla Barbarito, alias Nina Madù.
Certo sono cambiati i tempi: nuovi fenomeni e nuovi suoni si sono imposti, per cui nel resto del lavoro (con l’eccezione di “Chef crudista” che fa la parodia di Gabriella Ferri) predominano sonorità di volta in volta più elettroniche o più (ironicamente) dark, con i testi che si fanno più acidi e corrosivi. Non tutto funziona bene. Con tutto quello contro cui ce la si potrebbe scagliare, Nina Madù e le Reliquie Commestibili se la prendono col vicino di casa, con il cliente arrogante dell’ipermercato, creando situazioni surreali con l’intenzione di forzare la realtà in modo espressionistico per renderne più evidente il nucleo grottesco. In un certo senso, un’operazione che aveva fatto anche e proprio Jannacci, che scavava nei comportamenti minimi per mostrare le tracce dell’imbarbarimento collettivo. Personalmente, però, questo tipo di “satira”, oggi non mi convince, non ha la stessa forza eversiva che poteva avere 40 anni fa. Per un paio di motivi almeno. Uno, il garbo che a Jannacci non mancava mai, nemmeno quando usava (raramente) la parolacce: il “taggami addosso” che Barbarito urla in “Social Network”, nell’esperienza dell’ascolto risulta perdere la leggerezza ironica che possiede nel vederlo scritto e risulta estremamente volgare. Due, perché da vent’anni ormai (dai tempi di “Avanzi”, perlomeno), questo tipo di satira indirizzata al lato orribile delle persone comuni ha perso ogni valenza democratica (quale aveva ai tempi di Jannacci) per acquisirne una radical chic in quanto non muove dalla constatazione di ciò che c’è di spaventoso nei rapporti umani per giungere all’identificazione delle cause, ma si ferma all’apparenza, risolvendosi in un compiacimento elitario della propria superiorità morale. Il che a me non piace. A molti sì, però, e proprio per quello che per me è un difetto. Come si diceva una volta, de gustibus non disputandum est. Al recensore, però, pertiene il compito di tentare di individuare il senso di un’opera. Ed è quello che ho cercato di fare.

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La recensione Octopussa di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-04-08 00:00:00

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