Banda Maudit s/t 2004 - Cantautoriale

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La Banda Maudit arriva da Lecco e in questa sua prima uscita autoprodotta mostra se stessa al mondo. Già dal primo brano, “Solitudine messicana”, tratto da Jack Kerouac, sono evidenti alcune influenze della band: La Crus e Willard Grant Conspiracy. Altrove, come in “Mare”, è chiaro il riferimento all’Ivano Fossati più meditativo, anche se affiora pure mister Vinicio Capossela. E lui arriva dritto dritto uno degli altri inevitabili di quest’ultimi tempi, in fatto di canzone d’autore: mister Tom Waits, che ispira ora il cantato, ora il duro e spigoloso blues di “Topi”.

Qualche problema con la voce di Roberto Cerabino: che – non c’è niente da fare – ricorda ora quella di Marco Masini ora quella di Paolo Belli. Non è bello da dire, ma i timbri sono timbri: per quel che ne so, uno ci nasce, e non ci può far nulla, quali che siano i suoi gusti musicali. Perciò questa non è una notazione di demerito, ma la semplice descrizione della voce di Cerabino.

La band comunque ce la mette tutta per variare la pietanza, troppo simile a mille altre degustazioni: e infila all’inizio di “E questo è il fiore” un glissato di chitarra coperta da chili di flanger che rimanda al periodo dark dei Cure; nell’inciso di “Solitudine messicana” si diverte a echeggiare alla lontana “The house of the rising sun” degli Animals.

Fatto sta che il mood di questo disco è tra i più cupi e pesanti mai sentiti ultimamente, con una cura dei suoni decisamente lo-fi. E tanta pesantezza giova solo se incontra una disperazione esistenziale profonda, una qualche forma di depressione. Altrimenti stanca. Ma questo non può essere addebitato come punto negativo alla Band Maudit: ché probabilmente si tratta di cosciente decisione.

Personalmente preferisco di gran lunga i due strumentali, “Miles”, che mostra qualche guizzo pur nella sua ipnocità, e la conclusiva e dolente “Acqua”, che vedrei bene per i titoli di coda di un film nel suo essere quasi Sigur Rós. Ma si tratta di preferenze personali. In definitiva questo disco non offre molti spunti personali, se non una cupezza profonda: cosa che non contribuisce certo ad allargarne l’audience e che comunque di per sé non basta ad attribuire la sufficienza al lavoro.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-11-16 00:00:00

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