Dottor Divago s/t 2004 - Sperimentale, Pop

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Di questo dottore ho paura. A lui non mi affiderei mai. Mi turba. Ti chiude in una stanza buia senza finestre e getta via la chiave. Si prende gioco di un suo più noto collega e con la musica, letteralmente, divaga, sdoppiandosi in novelli Jekill & Hyde nelle figure di Bos e Gex, inclementi strampalati manipolatori di suoni. Tanto arditi da impugnare, con mio personale disappunto, la causa del pop sperimentale, mentre è un frullato composito di jazz acido funkeggiante e ultime frontiere elettroniche, quanto ritengo più opportuno loro accordare. Perché se pop viene da popular, genere accessibile a chiunque, qui siamo agli antipodi, confinati entro un limbo anni luce distante da una melodia anche minima. Vero, la misura proposta è leggera, confidenziale, ma l'insieme un macigno che ti molesta i sensi, esemplificazione sublime di cacofonia trionfante. Puoi sperimentare quanto vuoi ma non è pop se pur affidando al basso ruolo di comprimario, disegni traiettorie synthetiche che stridono, raschiano, rivestono l'ambiente di un'aura sinistra, malsana. Di campionamenti così astratti da lasciarti irrimediabilmente a disagio, chiamando a raccolta pruriti di ogni genere. A meno di non vederla nell'ottica ironica-marchio di fabbrica, allora sì: Dottor Divago produce pop sperimentale d'avanguardia. I testi, poi, vanno ben oltre il surreale, virando verso un nichilismo cui certo non giova il cantato alienato di entrambi. Sentite qua: "Svengo e comprimo con il primo e svengo e mi tengo attaccato alla trasparenza annusabile del mio interno…". ("Svengo"). Oppure: "Sono un uomo senza tempo, vado via e non ritorno, primo piatto con contorno, quando parto non mi pento, sono un uomo senza petto, sono l'uovo senza piatto". ("Uomo senza tempo"). Gioco di parole che sa di acrobazie verbali alla Bergonzoni ma in ultima analisi logorante, puro non-sense duro da digerire. Al top, però, si arriva con "Forme": "Ci provo a spiegare forme, i colori e gli odori all'interno del mio cervello… consistono in piccoli scoppi di bolle di nylon… sono quasi delle idee, sono quasi delle opere, come fossero concepite solo per essere distrutte… forme maleodoranti della mia esistenza". Oddio, fatemi uscire. Voglio dire, fossero almeno orecchiabili…
Salvo giusto "Ballalà", radiosamente tetra, "Piero e Alberto" dalla sonnecchiante atmosfera notturna e "Il caso del caso" (guarda caso, di appena 1:12). Quindici pezzi (alcuni dei quali definiti dallo stesso dottore instant songs per l'attitudine a improvvisare), sono francamente eccessivi, inutile negare di aver ascoltato a fatica l'intero disco. Io rispetto chiunque faccia musica. Comprendere questa significa entrare nel bizzarro universo dei suoi autori, impresa almeno a me preclusa.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-02-13 00:00:00

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