Alberto CameriniKids wanna rock2005 - Cantautoriale, Ska, Punk

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Mmmh. Sono uno che pensa che il punk sia finito il 14 gennaio 1978 a San Francisco, data dell'ultimo concerto dei Sex Pistols, seguito dallo scioglimento del gruppo. Ho amato quella band all'inverosimile, per il significato profondo che aveva: gesto iconoclasta sì, ma acuto situazionista destinato a sparire nel momento stesso in cui veniva prodotto, per sua natura inadatto a diventare genere, ovvero riproduzione seriale di se stesso destinata a perdere significato e a normalizzarsi nella percezione sociale. Avete mai visto le Marilyn di Andy Warhol? Ecco, l'inventore della pop art cominciò questi quadri in serie con riproduzioni in mille colori di incidenti d'auto mortali. Chiaro il messaggio: la riproduzione in serie di un evento, di un volto, di un gesto lo destina a perdere il suo significato dirompente. Lo sperimentiamo ogni giorno con le notizie del Tg. Geniali le sue serie dedicate a Elvis (l'icona rock'n'roll numero uno) e a Mao Tze Tung. Paradossalmente, quindi, proprio chi è più sincero e puro nel suo approccio al punk, ne determina la morte in quanto la fa diventare genere, quindi istituzione. Un approccio al punk dopo il 78 è possibile solo in modo eretico, come furono quelli del Great Complotto, dei Cccp, dei Tre allegri ragazzi morti dei primi tre demo.

Ma, come sappiamo tutti, il mondo la pensa diversamente da me: il punk non è morto ed è proprio diventato un genere, buono e innocuo, adatto a rassicurare i ragazzini tredicenni di Mtv (niente di male sul fatto che siano tredicenni: il male è che li rassicuri). Il liscio del 2000, per me, con i Centri sociali di oggi a recitare il ruolo che fu delle Case del popolo emiliane di inizio Novecento.

Mmmh. Sono uno che nel 1981, ai diciassett'anni, era eccitatissimo nel vedere l'Arlecchino elettrico Alberto Camerini agitarsi sui palchi della Tv, di stato e privata, e svolgere il ruolo di volgarizzatore per l'Italia di quello che stava succedendo nel Mondo, alle porte del cosmo che stanno lassù in Germania (come aveva detto qualche anno prima un suo carissimo amico), o nella Capitale Globale d'allora, Londra. Incarnava il teen spirit dell'epoca alla perfezione, Alberto Camerini: e in più aveva il pregio di essere stato tra i pochissimi italiani reduci dei 70 (era stato chitarrista di Eugenio Finardi, aveva suonato col guru della psichedelia nazionale Claudio Rocchi, coi progressivi Stormy Six, con la dark lady Patti Pravo, di cui - come tutti - era innamorato, era stato tra i protagonisti del Parco Lambro e del movimento del 1977) a capire lo soffio vitale dei tempi e anzi a farsene protagonista (fu anche il primo a fare ska in Italia, con "Skatenati Serenella", anno domini 1980). La sua "generazione elettronica" eravamo, davvero, tutti noi e i tempi erano cambiati per sempre. Poi Camerini sparì, troppo presto, segnalato di tanto in tanto in recuperi della sua tradizione brasiliana (è nato lì) o in tentativi elettronici à la page.

Ora è qui, tornato, con una band, gli Skidsoplastix, che pesca nel meglio della scena italopunk d'oggi: un batterista ex Pornoriviste e un bassista del giro dei Punkreas. Da qualche anno Camerini gira con un crestone londinessettantasettino – o, se volete, à la Exploited - ed è, in fondo, adorabile: perfetta rappresentazione di un Peter Pan suburbano. È importante, tutto questo. Così come è importante l'introduzione che ho fatto prima. Perché da un lato questo cd non innova più, e si inscrive perfettamente – e anche bene, tutto sommato – nello spaghetti punk che imperversa nei ciesseò italiani. Ma dall'altro è anche un recupero di quello che Camerini ha sempre fatto e voluto essere: un arlecchino metropolitano, un eterno bambino che individua nella pubertà un'età potenzialmente rivoluzionaria. E il pezzo ska che offre questo cd, "Run you better run boy", pur essendo il solito pezzo ska, non è il solito pezzo ska. Perché Camerini, qui, recupera un bellla fetta di se stesso. Per cui, il punto è questo: Camerini non ha perso il vizio di scrivere canzoni – e di saperle scrivere, soprattutto. Come autore, è al livello dei migliori in Italia nel genere, e d'altronde, questi migliori devono tutti qualcosa anche a lui. È perfino difficile scegliere un pezzo: tutti sono anthem generazionali frutto di chitarre innamorate di Ramones o NoFx, che interpretano benissimo nei testi il punto di vista della prima adolescenza, un po' come per altri versi riescono a fare i Tre allegri ragazzi morti, che però hanno disegnato una loro via originale al pianeta pubertà.

Quello che dispiace, a noi critichinimaicontenti, è che in questo disco manchino innovatività e reale sovversione musicale, giacché la pubertà è ora l'età di riferimento e conquista di tutte le campagne pubblicitarie (non vi eravate ancora spiegati il successo delle boy band italiane? Sveglia!). Ma se siete dei giovanottoni punkettoni tutti brufoloni e cannoni, anche solo nel cuore, sappiate che questo è davvero un bel disco punk e che fareste meglio a risparmiare qualche euretto sottraendolo a birre e pusher per investirlo in Camerini. Sarà simpatico o no, sto nonnetto che si ostina a vestirsi di chiodo e a pettinarsi a crestoni? Che spara mitragliate di flower punk che disegnano sagome di canzoncine ed inni adolescenziali come si deve e alza orgoglioso il capo fino a usare l'inglese, a dimostrare che nulla ha di meno di Green day, Blink 182, Good Charlotte o qualunque altro insieme di chitarre coretti malinconia e incazzature per cui spedite sms a Trl o Allmusic?

Fidatevi, mettetelo alle vostre feste e magari convincete il vostro centro sociale di fiducia a chiamarlo per un live devastante che vi farà pogare dall'inizio alla fine con un'energia rara. Perchè, si sa, se "girls just want to have fun", "kids wanna rock".

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La recensione Kids wanna rock di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-03-19 00:00:00

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