Indianizer Zenith 2018 - Psichedelia, Afro-beat, Cumbia

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Gli Indianizer continuano a farci viaggiare con i loro ritmi apolidi

Quando pensiamo alla musica, quando parliamo di musica, c'è un elemento che rimane sempre un po' in ombra, trascurato, considerato meno rilevante di altri: si tratta del ritmo, ed è un erroraccio dargli meno importanza rispetto, per esempio, alla melodia, perché è dal ritmo che nasce tutto, è dal ritmo che riconosciamo un mondo musicale, se una canzone suona “strana” quasi sempre è perché ha un ritmo irregolare o dispari, è il ritmo che scandisce il ballo e che scandisce tutto, il modo in cui camminiamo, le nostre giornate, il battito del cuore...
Il ritmo è la spinta primordiale della musica, sarà proprio per questa sua essenzialità che lo diamo per scontato, come le fondamenta di una costruzione? Può darsi. Comunque, questo è un errore in cui non cadono gli Indianizer. Loro vanno avanti a ricordarci che il ritmo alla musica non dà solo colore ma anima, che è quello che ci fa muovere il corpo e la testa: che sia quello dell'indie-pop psichedelico di “Dawn” o del caraibico/mediterraneo/lisergico di “Hypnosis”, che sia esplosivo e altalenante come in “Mazel Tov II”, forsennato come in “Hermanos Nascondidos”, che abbia sentori di cumbia dark (“Get Up!”), che sia cantato in inglese, spagnolo o in una lingua inventata, che gli echi dei suoi richiami arrivino dall'Africa, dall'India o dall'Australia, l'unica costante della musica irrequieta, sradicata, in perenne ricerca e in perpetuo movimento del collettivo torinese rimane proprio questa: il movimento.

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La recensione Zenith di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-05-23 09:00:00

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