Path Hombre Lobo Sessions 2018 - Cantautoriale, Punk, Blues

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Il secondo lavoro del cantautore delle periferie romane è un piccolo gioiello di sincerità, malinconia e vita vera

Seguo Path e le band in cui ha suonato e suona da dieci anni, dai tempi del punk, delle teste rasate, delle Dr Martens e delle fanzine fotocopiate. Eravamo poco più che maggiorenni, forse neanche.
“Ma”, citando una delle sue band, “non siamo in California e la tua vita non è un film”. Si è costretti a crescere e caricarsi il fardello sulle spalle.
Il suo non è stato un percorso, né artistico né esistenziale, semplice o lineare. Path, operaio edile nei giorni veri, ha da sempre calcato i palchi un poco scalcagnati di Centri Sociali o comunque “della scena” come membro di una band. Sguardo timido e di una umiltà disarmante, prima di diventare Path e basta, quindi, proteggeva i suoi testi e le sue composizioni grazie alla coralità e all’impatto live delle band di cui era componente; prima di diventare Path e basta, ancora, ha compiuto un percorso interiore di destrutturazione e rafforzamento che si percepisce nei testi che man mano ha scritto per i vari progetti, perché per essere autentico, con gli altri e soprattutto con se stessi, come è lui, si dev’essere anche forti.
Questo nuovo “Hombre Lobo Sessions” è diverso, per tanti aspetti, anche dal precedente “Lima Sorda” del 2015: scarnificando il proprio suono, il cantautore si concentra sulla propria voce, sulla propria chitarra e sulle proprie storie. Finalmente abbiamo qui Path e basta, Path e il suo sguardo sincero, seppur difeso dalla visiera del cappello sempre calato sulla fronte. Tutto ciò, lo rende evidentemente diverso dall’underground di provenienza.
Leitmotiv del disco è il lavoro, la stanchezza quotidiana di un ragazzo di provincia che si sveglia alle sei del mattino per indossare la tuta sporca di calce del giorno prima e di quello prima ancora. E questo presenta la sua poetica come diversissima anche dal cosiddetto neo-cantautorato italiano, composto da musicisti –qualcuno può negarlo?- di estrazione fondamentalmente piccolo borghese, cittadina e intellettualoide.
Path è un artista più unico che raro in Italia, comparabile a Billy Bragg o anche a Woody Guthrie, dando le dovute proporzioni al paragone: vive quello che canta e canta quello che vive.
“Zafferino”, traccia d’apertura, muove da una vecchia foto appesa nel salone dei genitori: ritrae suo nonno, padre di quattro figli, di mestiere carrettiere, morto pedalando sulla via del ritorno a casa, investito da un’autobotte. Zero retorica, la vicenda così com’è andata e come riportata dal ritaglio del giornale ancora conservato. “Uso quello che ho” è una considerazione amarissima sulla frustrazione e sulla scarse possibilità di cambiamento quando, rincasando “stanco e distrutto, le mani tremano e non reggi più”: “nella strada dietro casa mia, ci vive un uomo che non ride mai, ha amato ogni creatura del mondo e ricevuto solamente guai”. Sulla stessa linea, “Un altro giorno di gloria”, uno dei momenti più toccanti: la polvere del cantiere, il sudore sotto al sole, i rimproveri del padrone, l’attesa del tramonto per smontare e poter, solo la sera, “vivere la vita così com’è”. Poi arriva il fine settimana, e con addosso “Il vestito della festa”, chi si è spezzato la schiena nei giorni precedenti va alla ricerca della parte dolce, o almeno quella non aspra, dell’esistenza: per molti, anche se non hanno una lira, l’apparenza conta e la bella vita posticcia è a portata di smartphone e “qualcuno è in lacrime e qualcuno è contento di fingersi vivo anche se muore dentro”.
“Il fantasma di Toni Toscano” è un pianto rabbioso, ma mormorato, in cui è evidente, non solo nel titolo, l’influenza del realismo crudo e popolare di Giovanni Verga e del Ciclo dei Vinti. Dalla letteratura ad una fotografia quasi cinematografica: “Beat Hop” racconta “a malincuore ogni amenità” di Anguillara, il paese in cui Path è nato, cresciuto e tutt’ora vive, con le sue storie miserabili, di giovani sbandati, di ragazze madri che escono all’alba per lavorare in un bar, di disoccupati, di muratori, di droga e di squallore: “un lago di anime che galleggiano, si fermano un poco e poi se ne vanno giù, servi fuori ma liberi dentro, si vive una volta sola per morirne cento”. Poi un canto di protesta vero e proprio, vecchio stile -l’unico del disco insieme a “Rolex”- dedicato alla memoria dell’“Omicidio di Abd El Salam”, l’operaio e sindacalista egiziano ucciso nell’autunno del 2016 da un tir della sua stessa azienda, guidato da suoi stessi colleghi –che un tempo avremmo detto crumiri-, durante uno sciopero. Anguillara ritorna di nuovo, prima in “Questo mondo non mi renderà cattivo”, ma l’amarezza e il rancore per la propria condizione ed il proprio vissuto sono qui stemperati da una certa vena beffarda e sarcastica, e poi in “Statale Bis” la cui narrazione si fa più intimista e lieve, tra ricordi della propria adolescenza, dei primi tempi in officina accanto al padre, della madre che si alzava presto per preparare loro il caffè, degli amici che esortavano a lasciare tutto e partire lontano, ma non sapevano che “ogni tubo da saldare era un pezzo di pane”.
L’ultimo brano, “Sempre meglio della paura”, è una struggente canzone quasi d’amore, sulle difficoltà di mantenere una relazione quando si arriva a morsi alla fine del mese, quando ci si sente quotidianamente mortificati nella stessa dignità di essere umano: “a volte mi guardi come se ti dovessi una svolta, baby, non ne ho, mi sembri una nuvola nera in un vestito vissuto ed io l’ombrello non ce l’ho mai avuto”.
“Hombre Lobo Sessions” è un piccolo gioiello nel panorama italiano, dotato di una vena di emotività e purezza non comuni, fiume in piena di idee e riflessioni, che scorre sul filo di una malinconia né di maniera né ruffiana o autocommiserante, difficile oltretutto da inquadrare in una determinata scuola di scrittura cantautoriale già esistente. Questo lavoro è un inno al coraggio dell’onestà con se stessi, senza vanità o finzioni letterarie: “cerco di stare buono e calmo ma non sono mica scemo, finché sarò in mezzo ai guai, io saprò che sono vivo, questo mondo non mi renderà cattivo”.

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La recensione Hombre Lobo Sessions di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-05-04 09:00:00

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