Dioniso [Veneto] Dalla mia camera 2006 - Pop

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Quello dei Dioniso è un chiarissimo esempio dello sciagurato e sfortunato caso di un disco che ha tutto – quasi tutto – al posto giusto per sfondare. O quantomeno per prendere sette e mezzo all’interrogazione. Eppure - maledizione - non funziona. O meglio: funziona solo a scatti. Insomma: prende sei, al massimo sei e mezzo. Che poi mica è da buttar via. Però, insomma. Se uno s'è preparato bene, con anni di concerti e qualche ep alle spalle...

Le ragioni - da una parte e dall’altra – sono diverse. Ad esempio, "Dalla mia camera" incardina dodici pezzi su un brit-pop egregiamente interpretato ma che, in grande onestà, non ha davvero più alcunché da dire. Allo stesso tempo, però, riesce ad spruzzarci quanto di meglio è passato nel mainstream pop degli ultimi anni, da Cremonini a qualche passaggio alla Negramaro. E così a svecchiarne appena appena gli angusti canoni. A differenza di questi, però, il primo lavoro del quintetto veneto non ha il pezzo che spacca, quello che fa battere il piede indistintamente a tutti, i famosi cani e porci: con la parziale eccezione di “Non mi basterai” (che ne è il confortante attacco) il disco è privo della canzone dalle uova d’oro. Del singolone che, in dischi del genere, è il requisito essenziale. Ha dodici dignitosissimi capitoli – paradossalmente tutti degni di un passaggio in radio, come no. Ma proprio perché sono tutti degni significa che non ce n’è uno che sia più degno di un altro. Troppo poco, per l'inflazionata casella in cui va ad inserirsi il disco.

Ancora: è suonato molto bene, e la voce di Mattia Pattaro è perfetta per il genere, molto pulita e discretamente versatile. Ma oscilla fra passaggi (troppo) alla Cremonini e lontani echi alla Renga che se possibile sottolineano ancora di più l’amara sensazione del già sentito.

Ecco dunque che se alcuni pezzi viaggiano semi-anonimi sullo standard appena dipinto (“Un gran bel film”, “Chiudi gli occhi nei miei”, buon inciso), altri partono promettendo sfracelli ma si affogano da soli incartandosi dentro ritornelli decisamente poco azzeccati (“Solo sulla luna”). Altri ancora, invece, si issano assolutamente al di sopra della media, rinfrancando chi – dai consistenti segnali disseminati a destra e a manca – aveva forse costruito qualche aspettativa di troppo sul disco. Sopra tutti, dicevo, “Pioggia&Caffè”, ed anche la delicatissima “Ottoetrentadieciagosto”. Questo, in particolare, un pezzo in pieno e puro stile Cesare Cremonini di “Maggese”: e infatti ci piace assai. Complessità travestita da semplicità, che non ha paura di andare a cercarsi la melodia anche arzigogolata e gli arrangiamenti soffici. Centro pieno. Ma non è il singolo di cui sopra. E' altro.

Se a tutto questo, però, aggiungete qualche scivolone alla Groff – l'uomo che ha ucciso l'applicazione italiana del brit-pop – e, d’altra parte, una palpabile volontà di ricercare a tutti i costi la soluzione adeguata (che però, come detto, arriva di rado) o quanto meno di mettercela tutta, tirerete fuori il vostro giudizio senza grandi grattacapi.

Io di stroncarli non me la sento, anche perché poi, oggettivamente, non se lo meritano. Piuttosto, ho sentito una band con del talento - senza dubbio. Legata a forme un po’ trite per quanto di tutto rispetto, nelle quali è per ciò stesso complicatissimo scovare la cifra nel tappeto e spiccare il volo.

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La recensione Dalla mia camera di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-03-02 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • quid 17 anni fa Rispondi

    per una volta...pienamente d'accordo! :)

    sottoscrivo ogni parola.