Francesco Guccini Stagioni 2000 - Cantautoriale

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E lo capisci già dall'Intro che il Guccio è tornato, ed è uguale ma sempre diverso, come i giorni. Sai che è tornato il "frate", quello che non sai bene se ha davvero capito la vita oppure no, ma che è così dolce stare ad ascoltare mentre te la racconta. Davanti a quanti bicchieri di vino? Ognuno risponda per se.

E lo capisci già dall'Intro, e poi da lì strofa dopo strofa seguendo le altre 8 tracce, che il Guccio ha fatto uno dei suoi dischi. E ti viene da dirlo con gioia, uno dei suoi soliti dischi. Niente è cambiato e tiri un sospiro di sollievo, e ti si allarga il cuore, e ti si allenta anche se per pochi istanti quella tensione che ti sta stracciando le viscere. Perché allora qualcosa che dura, che non marcisce nel vortice impietoso del tempo, c'è. E non ti viene altro da fare che mettere quel dischetto rosso (che sublime scelta semantica) e lasciarti sprofondare nei tuoi paesaggi mentali di anni e stagioni passate, di "io sarò" diventati "io ero", di "storie credute importanti (che) si sbriciolano in pochi istanti".

E lo capisci già dall'Intro quindi, che ancora una volta troverai parole da mandare a memoria, lampi di verità, o piccole incrinature di un senso che non ne vuole sapere di farsi acciuffare. Già perché in fondo Guccini è questo: una certezza. E' il sapere di trovare quello che ti aspetti, sempre. Negli anni. Con una coerenza e una forza di volontà o un'ostinazione di carattere che ha del sovraumano. Con onestà.

E allora ce lo vai a cercare dentro a ogni disco quello che vuoi, come chi torna in un posto che ha lasciato, per andarsene un po' in giro a vedere com'è il mondo, che ritorna e va subito a controllare se tutto è ancora com'era.

E' ancora così.

C'è la famosa canzone su Ernesto Guevara. Che fa quasi tenerezza tanto è romantica e sentita. Messa nel mezzo alla barbara commercializzazione dell'icona "Che", questa Stagioni suona ancora più fresca e distante, quasi ingenua. Canzone scritta a furor di popolo ha detto il Guccio in un'intervista, scritta un tempo e poi tenuta lì. Aspettando il momento giusto? Chissà. "I compagni di un giorno o partiti o venduti". La mente torna alla figura di Janhus di quella drammatica Primavera di Praga o all' Eskimo che conoscevi tu. Lo stesso indomito mix di dolcezza e ribellione.

Autunno . C'è da aggiungere altro? Qualsiasi estimatore del Guccio conosce la precisa "sensazione" che impregna qualsiasi suo disco. La malinconia accompagnata a uno sguardo sfuocato ai tempi andati, come una tintura dell'anima, un velo leggero che ci accompagna. "ignorando quel rodere sordo che cambia "io faccio" in io "ricordo" ". Siamo dalle sommesse e crepuscolari parti di Canzone quasi d'amore o Non bisognerebbe per intenderci.

E un giorno, il tanto atteso e sperato seguito di Culodritto, dedicato alla figlia Teresa, ormai diventata grande, "sospesa tra voglia alternate di andare e restare" . Ora in grado forse di capire, o perlomeno non più accusare un padre che con orgoglio dichiara: "io ho sempre tentato". Ed è questa una delle canzoni più belle del disco, di una intensità e sincerità e lucidità che disarma. Giocata sul rapporto padre/figlia con tocco partecipe e delicato. Divento sdolcinato e retorico se dico che qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste parole dal proprio padre? Lo dico: qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste esatte parole dal proprio padre. Per una volta magari non steso davanti a qualche canale. (Una bella frecciatina velenosa alla di lei madre e un tempo moglie completa il tutto: "e tua madre lontana presente, sui tuoi sogni ha da fare e da dire").

Ho ancora la forza "che ti serve quando si dice "si comicia"". Perché se qualcosa finisce c'è sempre qualcos'altro pronto a dare il la per qualcosa di nuovo. Comunque sia, e comunque vada e comunque. E' sempre la stessa storia d'altronde, ma ripeterla (e sentirsela ripetere) non fa mai male, anzi. Alla fine "il resistere" è proprio quello. Avere ancora la forza. Già. Molto in stile Vedi cara.

Inverno '60. Notti perse tra le ballerine e il fumo di localacci squallidi di periferia. La domenica sera d'inverno. Molto swingata. In perfetto stile Le ragazze della notte . C'è il Guccio frequentatore di balere quasi cinico: "bisogna divertirsi (è domenica sera), c'è da dimenticare la noia pesa e nera".

Eroica, resistente, folle e giocosa. Da cantare a squarciagola è DonChisciotte . Poetica e picaresca come il romanzo di Cervantes a cui si ispira. Cantata a 2 voci dal DonChisciotte/Guccini e dal suo fedele scudiero Sancho Panza/Flaco. Le confessioni di "un testardo, un idealista, (che) troppi sogni ha nel cervello", che non si vergogna di confessare "c'è bisogno soprattutto di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto". E allora via! Contro mulini a vento e pecore scambiate per Mori! Via all'azione! All'utopia! Forse è una bestemmia, ma a me ricorda per idealismo e ritmo e tensione La locomotiva .

Primavera '59. Te li vedi quasi, teneri e impacciati, indefiniti e sbilenchi, incerti nei gesti e nei meccanismi. E hanno la faccia di Andrea e Samantha, oppure di quei 2 di Lui e lei o i centomila tanti altri ragazzi innamorati che da decenni colorano le banchine delle stazioni coi loro baci e promesse e abbracci e saluti laceranti, lì a un passo dal partire per non tornare più. "Ma è bella l'illusione di un momento solo, quella luce che ti abbaglia, anche se si spegnerà".

Si chiude con Addio, e un po' fa senso sentirsi lasciarsi così. Si sa. Però lo si capisce che niente è finito davvero. Che c'è ancora tutta la rabbia e la forza per non starci, per non farsi annientare dalla mediocrità e dalla banalità dilagante. Dal vuoto scintillante di televisioni e calciatori, "riflettori e pailettes". Si riprende il filo bollente iniziato con la fu Avvelenata e poi a continuare, sempre con parole taglienti e refrattarie ad ogni concessione, in Nostra signora dell'ipocrisia e Cirano . C'è ancora tanto su cui sputare e indignarsi. Per fortuna.

E poi
Chiudere gli occhi e tornare a bere in un'osteria di fuori porta con la ragazza ora in Pennsylvania mentre l'ubriaco canta e il gatto dorme sulla panca. Ti ricordi quei giorni ?

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La recensione Stagioni di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2000-04-16 00:00:00

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