Porfirio Rubirosa Ferragosto 68 2008 - Easy-listening

Ferragosto 68 precedente precedente

Seconda prova per Porfirio Rubirosa, l’esuberante avvocato di San Donà di Piave che ha deciso di ridare vita al noto playboy dominicano degli anni 50-60 (in senso letterale: il suo personaggio lo immagina risvegliato ai giorni nostri dall’ibernazione del 1965, anno della sua morte). Stavolta produce Franco Zanetti, uno dei più feroci ma meditati stroncatori della prima prova di Porfirio (“Fresco e spumeggiante”, 2005), che cerca di valorizzare le indubbie potenzialità del personaggio affiancandogli come backing band i torinesi The Sunny Boys, tribute band dei Beach Boys, e una schiera di protagonisti del beat 60 (da Giganti, Corvi, Dik Dik, I Notturni), del revival anni 80 (Ivan Cattaneo e i Righeira) e della cocktail music anni 90 (Montefiori Cocktail, Angelica Cacciapaglia, Smart Set), e collaborando ai testi. Il risultato è senza dubbio migliore del debutto, ma manca di mordente: le canzoni sono sempre troppo pulite e precisine, e sì che The Sunny Boys credo sappiano come pestare, altrimenti come potrebbero coverizzare – che so? - “Barbara Ann”? Il responsabile del mezzo passo falso credo sia proprio Porfirio, allora, visti anche gli ospiti. L’ambizione del disco, come dichiarato nella ghost track, è essere programmato in radio: ma l’interpretazione di Porfirio ammoscia i pezzi. Capisco tutta l’ironia insita nel cantare il testo di “Giovane” con ciondolante pigrizia, facendone una parodia degli analoghi brani supergiovani dei sixties: ma radiofonicamente non funziona, tanto più che la band pare trattenersi dal pestare. Così anche la provocazione del titolo, che associa il disimpegno totale del Ferragosto e di queste canzoni così “sessantine” al 68, anno che nella memoria collettiva significa “rivolta”, si perde. L’ambizione del disco è essere l’equivalente in musica di “Sapore di mare” dei Vanzina (film degnissimo, l’unico forse della coppia, e che io personalmente adoro), ma la preoccupazione costante di Porfirio di risultare garbato gli toglie la possibilità di graffiare. Credo che il limite che Porfirio debba superare sia proprio questo: dimenticarsi l’affettazione aristocratica (e però senza dismetterla) per dare spazio al lato clownesco, assurdo e grottesco del proprio personaggio. Essere meno parrocchiano e più jet set. Meno paesetto e più Montecarlo. Meno Pierrot e più Arlecchino. Non a caso il brano migliore è la ghost track, in cui un’elettronica leggera e eighties e la voce più convinta di Porfirio (ricorda Camerini) risultano al contempo divertenti e malinconiche come certi finali dei film di Dino Risi.

---
La recensione Ferragosto 68 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2008-09-16 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia