Vita da roadie: cosa vuol dire passare la vita al seguito di una band

Dario "Kappa" Cappanera è una figura fondamentale della storia del rock italiano, e ha fatto da roadie praticamente a chiunque: lo abbiamo intervistato

Roadies
Roadies - foto via wsj.com
20/07/2016 - 13:12 Scritto da Chiara Longo

Dario "Kappa" Cappanera è una figura fondamentale della storia del rock italiano: come chitarrista degli Strana Officina prima e come roadie per alcuni dei maggiori artisti italiani dopo, ha attraversato un trentennio di musica sopra e dietro i palchi, fino a interpretare nel 2011 il ruolo di Rino, il chitarrista della band fittizia Pluto nel film di Carlo Virzì "I più grandi di tutti". Tecnico di grande esperienza anche per produzioni estere, recentemente Dario ha anche dato alle stampe il suo album solista "The man I want to be". In concomitanza con l'appassionante serie tv girata da Cameron Crowe "Roadies", abbiamo voluto intervistarlo per farci raccontare cos'è un roadie e com'è la vera vita on the road a seguito di una band importante. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ciao Dario, per quali artisti hai fatto il roadie e quanti tour hai alle spalle?
Sono tanti, nominerò solo i più conosciuti: ho lavorato con Vasco Rossi dal 2003 al 2014, con Zucchero, ho fatto tour con Riccardo Cocciante, Articolo 31, J-Ax, Giorgia e tanti altri, anche all'estero, per esempio con Prince. Tour ne ho fatti tantissimi, non saprei dirti quanti esattamente, conta una media di 2-3 tour all'anno per circa 15 anni, più i tour che ho fatto con band indie come gli Zen Circus e Appino. Ti giuro che non saprei quantificare, non ci avevo mai pensato. Dovrei scartabellare il curriculum. In ogni caso di kilometri ne ho macinati tanti.

Come hai cominciato a fare il roadie?
Io ho un percorso particolare, perché sono un musicista, per la precisione un chitarrista. Vengo dalla scena rock'n'roll e heavy metal, quindi ho iniziato suonando con le mie band. La più conosciuta è la Strana Officina, una band storica della scena metal italiana. Già da chitarrista mi sono sempre interessato all'aspetto tecnico, ho fatto i primi tour in furgone, la prima logistica, le prime schede tecniche, le prime cose da roadie insomma. Ho cominciato a sistemarmi le chitarre da solo, mi saldavo i cavi e mi facevo le pedaliere. Poi ho aperto uno studio di registrazione, ho imparato come si producono e si registrano i dischi, e ho vissuto sia gli anni dell'analogico che l'avvento del digitale.
Negli anni '90 i due gruppi di punta del metal italiano eravamo noi e gli Extrema, il cui manager era Diego Spagnoli, che poi diventerà lo stage manager di Vasco Rossi. Quando mi trasferii a Milano nel 1998, iniziai a fare il turnista con Francesco Renga e Gianluca Grignani, ma da chitarrista metal che veniva dalle band, suonare da mercenario soprattutto per il pop italiano non mi piaceva molto. Allora mi riciclai tecnico, e il primo tour che ho fatto come backliner fu per i Delta V nel 2000/2001. Durante questo tour incontrai Diego che vedendomi fare il roadie, l'anno successivo mi chiamò perché pensava fossi la persona giusta per fare il guitar tech di Solieri, un chitarrista della vecchia scuola che in quel periodo ne cambiava uno all'anno. E quindi passai da un tour col furgone nei club agli stadi di 80.000 persone con Vasco. Ovviamente fatto Vasco Rossi mi feci un nome come guitar tech e iniziarono a chiamarmi tutti.

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In generale quali sono i compiti di un roadie all'interno del tour?
Il nome nasce dagli amici e appassionati della band, che si univano al tour e diventavano a tutti gli effetti gli uomini di strada, quindi tutti in generale sono roadie. Poi ognuno ha un compito specifico, che comprende anche caricare e scaricare i furgoni oppure guidarli. Poi ci son il fonico di palco e il suo assistente, il palchista, gli stage manager, i luciai, i direttori di produzione eccetera. In Italia generalmente ci occupiamo sia degli strumenti che del cablaggio, dei microfoni, in generale del palco, mentre all'estero le figure sono più distinte, ma questo è un punto a favore perché abbiamo imparato a fare un po' di tutto e anche a improvvisare in situazioni critiche. Poi con le nuove tecnologie siamo diventati tutti quanti un po' più tecnici.

A questo proposito, com'è cambiato il mestiere nei tuoi 15 anni di carriera l'avvento delle nuove tecnologie, ma anche a livello di produzione dei tour?
Innanzitutto ho visto un po' tutto il percorso di crescita dell'ambiente, avendo attraversato un trentennio da spettatore prima, da musicista poi, e infine da tecnico. Parlo soprattutto di come si gestiscono le cose a livello dei budget, della logistica: se per un certo periodo si è passati da organizzare concerti senza regole di sicurezza, tutto molto alla vecchia, negli anni sono nate le aziende specializzate, la professionalità è cresciuta, abbiamo preso familiarità con le tecnologie e si sono create delle figure specializzate.
In particolare il backliner, il fonico di palco, lo stage manager, sono figure che sono state introdotte in Italia in ritardo rispetto all'America. Persone come Toni Soddu se lo sono inventato il lavoro di stage manager, soprattutto nella gestione dei festival. Ho avuto la sensazione di vedere tutta la nascita e il consolidarsi delle produzioni, delle varie figure professionali e dei sistemi di sicurezza.

Secondo te i terribili fatti di cronaca accaduti ai concerti di Laura Pausini e Jovanotti hanno dato un'accelerata a questo processo di miglioramento?
Se da una parte hanno dato un'accelerata a certe situazioni legate alla gestione della sicurezza, dall'altra è tutto molto illusorio. Sono state create le leggi che impongono caschetto, scarpe antinfortunistiche, guanti, una marea di documentazioni e burocrazia, carte, soldi da spendere, cose da fare, che fondamentalmente non servono a niente. Se ti casca un'americana in testa che tu abbia il caschetto o no, si muore. Il discorso è a monte e le cose andrebbero riviste nella gestione economica dei budget e dei tour perché certe cose non si possono fare. Ti faccio degli esempi.
In una produzione grande, può capitare di fare delle date attaccate anche con grandi spostamenti tra una data e l'altra, senza dormire per fare per forza la data il giorno dopo. Questo è sbagliato. Dall'altra parte si fanno tour di 20 date in tre mesi, e questo porta a perdite di soldi perché bisogna spalmare troppo le date e stare a casa in certi periodi.Le tappe vanno pensate in maniera logica: se tra una tappa e l'altra bisogna percorrere più di 500 km, bisogna prevedere un day off o un travel day. In tutta Europa negli USA si fanno tour di 2-3 mesi con gli sleeping bus, che in Italia non si possono usare, non ci sono le regolamentazioni.

(Dario Cappanera)

Cosa hai imparato dalle produzioni straniere con cui hai lavorato?
Ho vissuto negli USA per molti anni quindi sento di avere quell'attitudine. Ho imparato che in tour, che è una vita dura, ci sono orari particolari, non si può dare per scontato che con la passione vada bene tutto. Quella va bene a 20 anni, ma a 40 anni è dura, è necessario mangiare e dormire bene, perché se no il tour prende una brutta piega. Bisogna mettere le persone nelle condizioni di vivere una vita rock'n'roll e on the road, ma decenti. Invece da noi spesso, ma soprattutto verso l'estate in cui si concentra il grosso del lavoro dell'anno, non ci si ferma mai, si accettano condizioni di lavoro disumane e quindi pericolose.

Un roadie normale che fa produzioni medie con artisti italiani quanto guadagna? Si riesce a vivere di questo lavoro o bisogna integrare o addirittura essere costantemente in tour per farcela?
È un discorso complicato. Lì per lì i guadagni sembrano buoni, si va dai 250 ai 400 € al giorno per le produzioni più grosse. Se sei free lance, tra tasse e burocrazia, e ritardi nei pagamenti (conta che normalmente in un tour la fattura ti viene pagata a 30, 60 o 90 giorni), devi lavorare sempre, anche perché spesso devi anticipare le spese giornaliere del tour come spostamenti o cibo, e non è prevista una diaria, ovvero una cifra standard giornaliera per provvedere a questi bisogni, che invece all'estero viene fornita sia nei giorni dello show che nei day off o nei travel day. Al netto di queste spese, se dividi queste cifre per le ore di lavoro giornaliere, si guadagna molto poco e bisogna stare in tour 9/10 mesi l'anno.

Ma i roadie lavorano tramite agenzia o sono assunti direttamente dalle produzioni degli artisti?
Innanzitutto si lavora per conoscenze, tra tecnici ci chiamiamo a vicenda, e di solito da free lance. Poi ci sono gli aziendali che lavorano direttamente per il service.

Secondo te quali sono le qualità che una persona deve avere per essere un buon roadie?
A parte le skills e le conoscenze tecniche, alla base di tutto ci deve essere una condizione umana di squadra, non bisogna ragionare individualmente. Una crew e una produzione felici sono quelle in cui le persone collaborano e comunicano, sono affiatate e si stimano. La crew è crew e funziona come un puzzle: bisogna avere un'idea di quello che fa l'altro anche se non è di tua competenza per muoverti correttamente e coi tempi giusti. Anche le cose banali vanno pensate e fatte in collettività. Per esempio al ristorante prima si ordina, poi ci si va a lavare le mani, altrimenti al momento di ordinare c'è uno fuori a fumare, uno a telefonare, uno in bagno e non si finisce più. Piccole cose che tutti sanno e che servono per ottimizzare anche i momenti di relax.



(Il cast di "Roadies", la serie tv di Cameron Crowe per Showtime)

Mi descrivi la tua giornata tipo il giorno di un concerto?
In una produzione media di solito si arriva in mattinata o per l'ora di pranzo. Si fa load in cioè lo scarico, si montano prima le strutture e le luci, poi l'audio e poi il backline, si fa il line check in modo che tutto sia pronto per le 5 che arrivano gli artisti per il sound check. Questo passaggio si tende a farlo solo i primi giorni, poi una volta trovato l'assetto anche grazie ai mixer digitali su cui puoi salvare tutte le impostazioni, a un certo punto non si fa più, o al massimo lo fanno i backliner al posto della band. Fatto il grosso poi si fa il fino: si cambiano le corde e le pelli, si ordina il palco, si segnano i percorsi sul palco con i nastri colorati per ingressi, uscite, punti pericolosi e si comincia già a prepararsi al load out, cioè lo smontaggio, quindi si collocano i bauli vuoti dietro al palco, si pensano le vie di fuga per le uscite, per esempio si stabilisce che le luci usciranno a sinistra e l'audio a destra per non incastrarsi, poi sul presto si cena e si va in scena con lo show. Durante il concerto si segue la scaletta canzone per canzone per intervenire al momento giusto a cambiare gli strumenti o le aste e finito il concerto si smonta. Quando è tutto chiuso e impacchettato, si ricaricano i camion e verso le 2, le 3 del mattino e si va a nanna.

Com'è la tua valigia ideale prima di partire in tour?
Anche lì c'è da imparare. Agli inizi, a parte il beauty con le cose del bagno fondamentali come spazzolino e dentifricio, uno tende a portarsi roba che non mette mai. Alla fine hai sempre i soliti pantaloncini. Le cose fondamentali sono tante t-shirt, tante mutande, tanti calzini. Tutto rigorosamente nero. Poi felpa, k-way, una scarpa leggera per i momenti di relax e uno stivaletto per la pioggia, il grosso è quello. Tanto tempo libero per uscire e vestirsi “da civili” ce n'è poco, e poi se le lavanderie non le trovi, almeno in camera d'albergo puoi lavarti mutande e calzini con una saponetta nella vasca (ride).



(Dario Cappanera in una scena del film "I più grandi di tutti")

Puoi raccontarci l'episodio più divertente che ti è capitato dietro le quinte?
Eh sono troppi, ci potrei scrivere un libro. Momenti divertenti ce ne sono tanti, non saprei dirtene uno in particolare, si lavora con gli amici, si creano condizioni di famiglia, la crew è la tua famiglia in quei mesi, ci si diverte tanto. Ora gli anni sono passati, ma ai tempi della gioventù facevamo dei dritti che neanche te lo dico, non si dormiva mai (ride).

E la situazione in cui hai pensato “Questa sera non ce la faremo ad andare sul palco”?
Sì, è capitato qualche volta per ritardi, rotture dei camion, traffico, ma alla fine non so come e ce lo chiediamo ancora oggi, alla fine ce l'abbiamo sempre fatta.

Qual è il tuo rapporto con i musicisti? Siete amici o è meglio mantenere un certo distacco? Tu più di altri puoi permetterti di dargli dei consigli o di fargli notare quando stanno sbagliando?
Questo è un tasto molto delicato. L'ho vissuto in prima persona, occupandomi personalmente degli strumenti di alcuni musicisti, per esempio con Prince. Purtroppo devo fare un distinguo tra italiani e stranieri. A parte Solieri con cui c'era un rapporto di stima reciproca, all'estero il backliner nasce musicista e diventa dopo un bravo tecnico, lavora come un'ombra dietro al musicista. Sa sempre cosa sta facendo, cosa sta suonando, quali effetti sta usando, e il musicista che chiama il proprio roadie ha stima in lui, questa cosa lo arricchisce, si fida. In Italia il tecnico è solo tecnico, e se sei bravo il musicista è geloso e a me, ahimè, è successo parecchie volte che il chitarrista fosse geloso e questo lo dico per la prima volta pubblicamente, ma nell'ambiente si sa che mi è successo più di una volta con nomi grossi. Spesso all'estero può capitare che un roadie addirittura sostituisca il musicista se per esempio si fa male. In Italia questa cosa non succederà mai. Stessa cosa in generale tra crew e musicisti. Prendi uno come Slash dei Guns'n'roses, lui è uno che dorme nello sleeping bus con la crew. In Italia l'artista viaggia da solo in aereo. Il rock'n'roll si fa in un modo solo, tutti insieme. Anche all'estero ovviamente ci sono le gerarchie, ma con un'attitudine completamente diversa.

(Slash dei Guns 'n roses)

Cosa consiglieresti a chi vuole tentare la tua carriera? Come si fa a cominciare?
Se un ragazzo volesse fare il roadie backliner sicuramente dovrebbe cominciare con un gruppo di amici e imparare a fare cose minime tipo cablare una tastiera, cambiare le corde e le pelli, capire come funziona l'elettronica, le basi, i software audio, montare e smontare il palco e le regie. Se invece vuole capire come funziona la macchina dell'audio e delle luci, il consiglio migliore è rivolgersi a un service e partire da zero facendo il facchino e tutta la trafila, perché è un mestiere che per forza di cose richiede la gavetta e gli aspetti sono talmente tanti che vanno conosciuti volta per volta. Il mio consiglio è: monta su un furgone e inizia a fare tutto, da caricare e scaricare a guidare, imparare anche come si alza un baule senza strapparsi la schiena o farsi male a un ginocchio.

Con le ragazze come va? Si acchiappa quanto i musicisti?
I roadie acchiappano più dei musicisti: in quello sono maestri (ride).

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L'articolo Vita da roadie: cosa vuol dire passare la vita al seguito di una band di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2016-07-20 13:12:00

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