Spotify Wrapped: come regalare dati a una piattaforma e vivere felici

Nelle scorse ore, per la nostra gioia, la piattaforma musicale ci ha fatto sapere cosa abbiamo ascoltato compulsivamente negli ultimi anni. Ma che effetti ha tutto ciò? E come cambia il mercato musicale? La case history del rap italiano

Cosa ascolterà la nostra Giulia?
Cosa ascolterà la nostra Giulia?
06/12/2019 - 14:17 Scritto da Raffaele Lauretti

Ieri è stata la giornata dei Wrapped di Spotify, attraverso un tool ad hoc la piattaforma scandinava ti ha fatto sapere quali sono stati i brani, i dischi e gli artisti (e i podcast) più ascoltati che più hai ascoltato nell'ultimo anno e nel decennio che ci stiamo lasciati alle spalle. Ascolti che tutti uniti ci dicono chi sono i top player della musica dentro a questo Stivale (Ultimo su tutti, Salmo, Coez e altri soliti noti), e, più in generale, nel globo terracqueo. 

Tornando al personale, quando abbiamo aperto Spotify siamo cascati un po' tutti. E così abbiamo esplorato il decennio sull'app, per capire quanti artisti abbiamo ascoltato, provenienti da chissà quali parti del mondo e dediti a fare chissà quale genere musicale. Insomma, Spotify ha reso accattivante l’idea che raccogliere dati sulla nostra attività sulla piattaforma sia divertente e per niente fastidiosa. È una cosa per lo meno singolare, vista l’attenzione che si dà oggi al chi-fa-cosa con i nostri dati. Inoltre con l'operazione di ieri, una volta di più Spotify ci ha detto che i numeri sono la cosa che più conta nella musica. Vabbè.

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Per capire qualcosa di più della "wrappata" in questione vorremmo analizzare un caso di scuola, mettere la nostra lente sul rap italiano e vedere cosa ci dice l'evoluzione del fenomeno nei dieci anni in questione. Se dieci anni fa di soldi non ce n’erano molti e la scena era costretta a organizzarsi altrimenti, oggi non è più così. Tanto che oggi non c’è più bisogno di una scena che si sostenga a vicenda con eventi, mixtape, contenuti speciali, autoproduzioni. 

Al contrario, a salvarci sono arrivate le sempiterne playlist. Un artista underground come Murubutu colleziona 13 milioni di streaming annuali: per stima artistica coinvolge nel suo disco Willie Peyote, Dutch Nazari, Claver Gold. I fan di questi ultimi tre creano una propria playlist Spotify, in cui inseriscono l’ultimo brano dei propri beniamini. Improvvisamente Murubutu è nella loro filter bubble. Ripetiamo questa cosa per venti rapper e ipotizziamo che ognuno di questi venti rapper abbia soltanto un centinaio di ascoltatori. Siamo già a duemila persone coinvolte. Questo senza contare le attività live, le sponsorizzazioni su Instagram, le challenge su TikTok e il normale lavoro d’ufficio stampa, sedi diverse dell’identità dell’artista, che insieme compongono un mosaico che determina l’engagement del pubblico. Abbiamo fatto un esempio a caso, uno bravo e che si muove secondo criteri artistici.

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Pensiamo ancora ai venti rapper di cui sopra: è praticamente così che una scena musicale si alimenta online oggi. Un esempio sovrano su tutti: Fabri Fibra, vero Stan Lee del rap italiano. Ultimamente non esce un disco senza la sua classica strofa di benedizione ed è proprio questo il punto. Dieci anni fa, Fabri Fibra poteva essere considerato il patròn della scena; questo perché organizzava mixtape in cui chiamava chiunque a rappare con chiunque, unendo personaggi diversissimi tra loro, citando nomi della scena underground nelle interviste e coinvolgendo artisti sul proprio disco ufficiale. Oggi è lui stesso ad ospitare personaggi diversissimi tra loro sulla sua pagina Spotify ed è così che vengono ormai annunciate affiliazioni, crew, supergruppi, dischi in collaborazione. Nessun problema? Quasi

Diciamo che se da un lato questo ci dà la possibilità che artisti vicini umanamente e lontani artisticamente si decidano a collaborare mischiando follower, playlist e chi più ne ha più ne metta (a parte tutto poi: in Enemy, disco rap più bello del 2018, è stato bello vedere Noyz Narcos confrontarsi con tutti i diversi senza mai snaturarsi), il rischio collaterale è che per ogni nuovo singolo, album, collaborazione, a un certo punto non si riesca più a seguire come si dovrebbe ogni uscita del nostro rapper preferito. Oltre al solito discorso sui numeri, e la loro parzialità. Che significa tutto questo per il mercato musicale, è ciò che vediamo ogni giorno. E chissà che ci dirà di noi il prossimo Wrapped di Spotify. 

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L'articolo Spotify Wrapped: come regalare dati a una piattaforma e vivere felici di Raffaele Lauretti è apparso su Rockit.it il 2019-12-06 14:17:00

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