Carolina Bubbico meets Roberto Ottaviano

Carolina Bubbico meets Roberto Ottaviano

Un sassofonista che ha suonato con i più grandi, da Dizzy Gillespie a Chet Baker, incontra una polistrumentista capace di mettere il pop nel jazz e viceversa. Uno scambio generazionale, per mostrare le tante sfaccettature di un genere capace di reinventarsi sempre

Carolina Bubbico
Senza Confini

Il jazz ha mille interpretazioni e declinazioni, tantissimi modi diversi di essere percepito e quasi altrettanti protagonisti. In Puglia questo è ancora più vero, basta guardare la proliferazione di musicisti jazz sul territorio, tra quelli più in forma di tutta Italia (e non solo) da questo punto di vista. E visto che il jazz è anche incontro, abbiamo voluto mettere insieme due musicisti dal rapporto speciale con questo genere, tra di loro diversissimi sotto molti punti di vista, proprio per dare due prospettive diverse su di un microcosmo sconfinato: Roberto Ottaviano e Carolina Bubbico.

Roberto Ottaviano ha iniziato la sua carriera da musicista una quarantina d'anni fa, anche se la sua formazione inizia già a partire dagli anni '60, quando da bambino prende lezioni di clarinetto al Conservatorio di Bari. Non passa troppo tempo che si trova a impugnare un sassofono, affascinato dalla musica di due giganti come Lester Young e John Coltrane, per poi compiere un ulteriore passettino quando si avvicina al sax soprano attraverso il suo insegnante Steve Lacy, altra figura enorme all'interno del panorama jazz mondiale.

Durante la sua lunga e affascinante carriera, Ottaviano ha collaborato con Dizzy Gillespie, Chet Baker, Enrico Rava, Keith Tippett e tantissimi altri, oltre ad aver suonato più o meno in tutto il mondo. Oggi insegna nello stesso conservatorio da cui tutto era partito, a Bari, condividendo le sue preziosissime esperienze con le nuove generazioni dei jazzisti che verranno.

Roberto Ottaviano
Roberto Ottaviano

Carolina Bubbico, invece, nasce a Lecce nel 1990, ma la precocità è la stessa di quella di Roberto. Pianista, cantante e compositrice, Carolina è una musicista poliedrica e completa, attiva già a partire dal 2011, applicata tanto al jazz quanto al pop: le sue collaborazioni vanno da Nicola Conte, uno dei principali jazzisti attivi in Puglia, a Raf, che ha accompagnato in tour nel 2022, senza dimenticare il traguardo raggiunto nel 2015 in qualità di più giovane direttrice d'orchestra al Festival di Sanremo (peraltro dirigendo i vincitori di quell'edizione, ossia Il Volo).

Il 2023 si sta rivelando un grande anno per Carolina: a febbraio è tornata a Sanremo sempre in qualità di direttrice d'orchestra, questa volta accompagnando Elodie, mentre in autunno è prevista l'uscita del suo prossimo album, il quarto in studio. Intanto è stato pubblicato il singolo Portami a ballare, prodotto dal fratello Filippo. A quanto pare, il talento è un tratto genetico all'interno della famiglia Bubbico.

Carolina Bubbico
Carolina Bubbico

Com'era essere un aspirante musicista in Puglia allora? E oggi?

Roberto: Erano anni avventurosi (e non riesco ad immaginare cosa potesse essere ancor prima). Si lavorava tanto di immaginazione, ci si conosceva tutti e in qualche modo si interagiva mescolandosi, cercando di emulare realtà che a fatica conoscevamo e di cui si poteva essere davvero consapevoli. Basti dire che anche "approvvigionarsi" di musica (dischi, testi, spartiti...) era estremamente difficile. Per cui ogni piccola cosa con cui entravamo in contatto era un tassello importantissimo, una pietra dell'edificio che posavamo con estrema cura, e quindi intorno a quel poco che avevamo c'era tanta dedizione, scavo, passione maniacale. Naturalmente oggi il contesto, come per ogni cosa, è cambiato profondamente. La trasformazione che è avvenuta negli ultimi vent'anni ha segnato una accelerazione impensabile sotto tutti gli aspetti. Reperire materiali, investire in formazione, trovare opportunità di presentare e documentare la propria musica in questa epoca digitale è diventato non solo più semplice, ma corre il rischio di una obsolescenza folle giorno per giorno. Una assenza di respiro che minaccia la qualità della lentezza necessaria all'assimilazione del gesto creativo. Non so, forse tra i vantaggi di avere tutto e subito a disposizione e del tempo smart con cui quel tutto si brucia, probabilmente sti ragazzi non sono proprio così fortunati. Mi auguro davvero che almeno i più sensibili tra loro riescano a gestire tutto ciò con saggezza e lungimiranza. In tutto ciò la Puglia è una delle Regioni sicuramente più avanti e fortunate del paese, sia perché è riuscita a tirar fuori alcune personalità interessanti, sia perché sul piano istituzionale l'attenzione al sostegno e al networking è sicuramente meritevole.

Carolina: Sin dai primi studi, il jazz è sempre stato per me un’opportunità e un’occasione di avere uno spazio musicale dove poter cercare il mio suono e la mia “voce” in musica grazie all’enorme spazio che ricopre l’improvvisazione e l’attitudine di reinventare e rimodulare un materiale esistente. Per sua natura, così come a mio avviso tutti i linguaggi musicali, necessitano scambio e contaminazione con linguaggi vicini e lontani. D’altronde la storia ci ha insegnato quanto sia preziosa la contaminazione culturale per l’umanità poiché proprio grazie a quest’ultima sono nate forme d’arte immensamente ricche. E il jazz è indiscutibilmente una di quelle.

A che livello è la formazione per il jazz nella regione?

Roberto: In generale il livello è piuttosto buono, con delle punte di eccellenza. Sono quasi quarant'anni che ho inaugurato i corsi di Jazz nel mio Conservatorio, il N. Piccinni di Bari, e a ruota sono emerse diverse altre realtà sia pubbliche che private, con una importante incidenza sulle attività musicali del territorio. Da noi in Conservatorio si sono avvicendate figure di grande rilievo didattico in campo nazionale e di conseguenza si sono distinti altrettanti studenti che hanno poi intrapreso una carriera di grande livello, girando tutto il mondo, identificando una sorta di "scuola pugliese", riconosciuta in tutta Italia.

Carolina: Gli anni della mia formazione partono da molto lontano, essendo nata e cresciuta in una famiglia di musasti che mi hanno sempre invogliato allo studio e al gioco in musica sin dai miei primi anni di vita. Lo studio del pianoforte, i primi laboratori di musica d’insieme e le prime esperienze vocali e corali hanno tracciato le impronte di un percorso in cui l’approccio appassionato, giocoso, sperimentale e curioso era fondamentale insieme allo studio e alla costanza che ho acquisito nel tempo. Ma è stato fondamentale nella mia formazione cambiare prospettive di studio, quindi provare spesso strumenti diversi per avere uno sguardo il più ampio e convinto possibile nei confronti della musica e questo lo devo molto a mio padre. Gli anni in conservatorio a Monopoli sotto la guida del Maestro Gianni Lenoci poi sono stati l’apice massimo della mia soddisfazione. Sotto la sua ala e in un ambiente molto attivo e ispirante, fatto di tanti ragazzi appassionati e curiosi come me, mi sono formata tanto e ho trovato gli strumenti per costruire la mia identità artistica e le mie diverse sfaccettature, che poi nel tempo ho saputo coltivare. Quel conservatorio, il mio Maestro e i miei colleghi sono stati di grande stimolo e ricordo con estrema felicità quel periodo della mia vita nel quale ho acquisito tanti strumenti e tanta creatività, sollecitata e guidata dalle numerose lezioni e esperienze in musica in cui ho trovato una Carolina capace di comporre musica propria sempre di più, ascoltare una grande quantità di musica nuova, immergersi in partiture musicali molto formative, condurre larghi ensemble, vivere bellissime esperienze di workshop con grandi artisti internazionali. Oggi insegno nel conservatorio della mia città, quindi faccio l’artista e contemporaneamente faccio formazione e mi piace moltissimo. Dal momento che vivo il lavoro di docente di canto pop in conservatorio con grande entusiasmo e passione, direi che la Puglia oggi è un luogo in cui le cose accadono anche se lontani dal jet set musicale italiano. Rappresentiamo un luogo in cui gli aspiranti musicisti possono essere sollecitati da musica fatta con amore e dedizione da persone che certamente hanno voglia di provare a lasciare il segno in una terra difficile, ma tanto ricca.

Che ne pensi della scena jazz pugliese?

Roberto: È certamente una delle scene più vivaci, per quantità di musicisti, di etichette discografiche e per il livello, soprattutto di competenza. Magari c'è meno coraggio a voler cercare una strada più smarcata da un certo "manierismo", sia esso tradizionale o più moderno, magari non avverto sempre quella voglia che ha fatto del jazz una musica unica e irripetibile, in cui ogni voce fosse la propria senza l'esercizio di stile, ma di sicuro abbiamo una serie di strumentisti di prim'ordine in diverse generazioni.

Carolina: Ultimamente ho una percezione più confusionaria e meno identitaria del jazz pugliese. Percepisco sicuramente un continuo fermento di artisti, addetti ai lavori, festival e iniziative pugliesi, ma non sempre così fermamente legate al jazz e onestamente non me ne rammarico, dal momento che il mio stesso approccio alla musica mira sempre di più alla liberazione e allo svincolo delle etichette in nome di una percezione sempre più universale della musica. Io stessa scrivo e mi muovo su più livelli di linguaggi, perché amo potermi provare e non fermarmi mai, motivo per il quale io stessa non mi sento di voler appartenere in maniera così radicata al jazz, ma, anzi, riuscire tutti a renderci più aperti e disponibili alla musica tutta come strumento di comunicazione e connessione immenso, senza pensare ognuno a coltivare il proprio orticello, ma tendendo sempre la mano, ovviamente nel rispetto assoluto dei linguaggi, della loro storia e del loro vocabolario. Per quanto riguarda le etichette credo che ci sia un bel movimento e una bella coesione e lo dico con fermezza, dal momento che la mia famiglia porta avanti da tanti anni l’etichetta discografica Workin’ label, che si occupa prettamente di jazz e contemporary music. Diverso è il discorso dei contenitori per fare un certo tipo di musica che secondo me rispetto ad altri tempi scarseggiano moltissimo. A Lecce, ad esempio, a mio avviso non abbiamo un club adeguato e degno del suo nome dove la gente possa andare sistematicamente ad ascoltare puramente un concerto. Questo è grave in un posto ricco di musicisti come il Salento. Ma il problema sono i musicisti stessi che dovrebbero ritornare a popolare i concerti, se però ci fossero i contenitori giusti. Non sono brava quando si tratta di nomi ma credo che i fondamentali della scena jazz sono sicuramente nomi che operano in questo settore da tanti anni come Gaetano Partipilo, Mirko Signorile, Roberto Ottaviano, Mimmo Campanale, Mario Rosini e molti altri.

Che peculiarità ha il jazz pugliese? In cosa riesce a differenziarsi nel mondo?

Roberto: Non mi piace ragionare in termini di jazz pugliese, campano, piemontese e così via. Penso che il jazz sia un luogo il cui perimetro si ridefinisce costantemente, senza mai dimenticare i suoi elementi costitutivi. Quindi posso parlare di jazz che si fa in Puglia, più che di jazz pugliese, e quella parte di jazz che si fa in Puglia che è riuscita e ancora prova a differenziarsi nel mondo è quella che, oltre a mostrare di aver assimilato i linguaggi e la tecnica funzionale, è riuscita ad avere uno scatto di genialità, di visione oltre l'adesione a modelli prestabiliti. Di questo parliamo, no? Di creatività e non di riproduzione, seppure ad alto tasso di perfezione.

Carolina: È difficile delineare le peculiarità di un linguaggio in un determinato luogo dal momento che il jazz in particolare, nell’accezione più tradizionale, rimanda profondamente a chi questa musica l’ha fatta crescere ed evolvere, quindi agli afroamericani. Invece ciò che contraddistingue la Puglia è sicuramente il fatto che ci sono tanti artisti che utilizzano in maniera intelligente e creativa un linguaggio come un’occasione di creatività e composizione di materiale nuovo da lasciare in questo mondo. Mi ricollego quindi alla prima domanda dove ho enfatizzato la caratteristica più interessante del jazz, che è quella di essere un linguaggio improvvisato dedito alla permutazione costante di un dato materiale musicale. A mio avviso in Puglia ci sono diversi artisti che hanno saputo ben sfruttare questo enorme e colorato contenitore come un luogo in cui potersi esprimere e creare discografia inedita con le sue personalissime peculiarità.

Come si emerge in questo ambito?

Roberto: Emergere non basta. Poi devi mantenere una posizione, il che è ancora più difficile. Non vorrei ridurre il tutto ad uno slogan ma mi rendo conto che l'unico obiettivo vincente sta non nel voler a tutti i costi raggiungere una meta, bensì compiere un viaggio che diventi attrattivo per chi deve seguirti. E questo viaggio lo puoi compiere solo con una passione feroce, con la coscienza degli strumenti da usare per affermare le tue idee e senza mai dare nulla per scontato. Aver sempre fame, mettersi nella posizione di imparare sempre e non ignorare mai chi ti segue.

Carolina: Il primo consiglio è nutrire la propria curiosità a spingersi oltre sulla domanda: “chi sono, cosa mi piace”. Se quella fiamma è viva dentro di sé, allora c’è il terreno fertile per poter costruire una propria progettualità su cui investire tanto tempo, energie, competenze, creatività, costanza e proporre un prodotto musicale rigorosamente live con il quale girare il più possibile. Va da sé che il mio consiglio è quello di raccogliere più esperienze possibile dal vivo e avere un bagaglio tale da poter gestire tutto ciò che ruota intorno alla vita artistica. Ma la cosa più importante è quella di scrivere musica se si sente fortemente l’esigenza di dire qualcosa e avere gli strumenti per poterlo fare. Un buon materiale compositivo autentico e vissuto, unito alla componente esperienziale del live, credo sia il cocktail giusto per la buona riuscita di un progetto artistico.

Qual è un concerto fatto in Puglia che ti è rimasto nel cuore?

Roberto: Ce ne sono davvero tanti, e ciascuno per un motivo differente, però se proprio debbo citarne uno in particolare ti dirò quello fatto dal quartetto da me composto in compagnia del compianto pianista Davide Santorsola, del contrabbassista Maurizio Quintavalle e del batterista Marcello Magliocchi, insieme alla grande Orchestra Sinfonica dell'allora Amministrazione Provinciale. Sul finire degli anni '80 ricevetti una commissione da parte del M° Marco Renzi per mettere in piedi un esperimento che per i tempi fu davvero pioneristico, tanto per musicisti italiani quanto per le strutture orchestrali. Successivamente ci furono le diverse operazioni realizzate da Enrico Rava, etc. Chiesi ai migliori arrangiatori del momento di scrivere degli arrangiamenti di un repertorio accuratamente scelto da me fra i numerosi songwriters americani di origine europea e la première ebbe luogo in un Teatro Team gremito come non mai, sotto la Direzione del M° Nino Lepore. Fu una grande emozione che replicammo anche al Festival Romano di Villa Pamphili ed in altre situazioni. Per pochissimo non registrammo per la Sony Music che voleva realizzare un cd, ma burocrazia e sindacati furono d'ostacolo a quello che, ascoltando i nastri ancor oggi, sarebbe stata un'opera unica e di grande impatto.

Carolina: Ricordo caramente uno dei miei primi concerti in solo di tanti anni fa per il Jazzset festival ad Acquaviva delle Fonti. Ero nel pieno della costruzione di quel live e quella sera raccolsi un sacco di bellissime energie e bellissimi feedback da tanti musicisti e fruitori che per la prima volta erano venuti sentirmi. Potrei citare diversi concerti più strutturati e consapevoli venuti dopo ma questo in particolare, sebbene sia uno dei primi della mia carriera artistica, mi è rimasto nel cuore per la sua spontaneità, per lo stupore e la freschezza che conservo nei ricordi.

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A cura di Dario Falcini Testi: Dario Falcini, Vittorio Comand Grafiche: Giulia Cortinovis Sviluppo: Giulio Pons, Alex Carsetti