The Winstons - Indole, non solo idee

Perché il prog non è roba vecchia da nerd e sfigati, ma un genere che ha lasciato una grande eredità da cui attingere: ce lo raccontano Roberto Dellera, Enrico Gabrielli e Lino Gitto.

The Winstons
The Winstons

Il prog sta tornando? Ascoltando i The Winstons sembrerebbe di sì: Inghilterra, Oriente, indole e non solo idee rinascono nelle note del loro album d'esordio, che ha visto la luce solo ora ma da sempre nelle corde dei tre musicisti/amici coinvolti nel progetto: Enrico Gabrielli, Roberto Dellera e Lino Gitto. Eppure, dicono loro, il prog non sta tornando, è solo il momento di renderci conto che non è una roba da nerd e sfigati, ma anzi un serbatoio di idee da cui attingere. E il grande successo del loro tour (che potrete vedere anche grazie ai biglietti in regalo su Rockit) lo dimostra.

Dato che l’idea della band è nata da un viaggio natalizio a Tokyo in cui Enrico ha ascoltato a un mercatino i brani di “Tarkus”, il capolavoro del 1971 di Emerson, Lake & Palmer, non posso non chiedervi subito cosa avete provato alla notizia del suicidio di Keith Emerson.
Enrico: Evidentemente è il Götterdämmerung inglese. Lì per lì è stata una notizia tremenda in una scia di ricorrenze tremende. Un paio di giorni prima era morto George Martin, l'anno prima (il 13 marzo per l'esattezza) era morto il nostro zio putativo Daevid Allen (quella personalmente è stata una perdita incolmabile). A quello si aggiunge un'altra triste ricorrenza di due anni prima per la scomparsa di un nostro caro amico fratello, Alessio Russo. Tutto in quella settimana nera di marzo. Nel caso di Emerson impressiona molto il suicidio perché è un fulmine a ciel sereno e la sensazione che ci ha lasciato è di forte inquietudine. È come se i The Winstons varcassero con i loro piedi e il loro karma la soglia di un'epoca piena di segnali cupi e oscuri.

Tra l’altro anche la formula del power trio batteria, basso e tastiere è quella lanciata da ELP, ripresa a suo tempo per questo anche dalle Orme. Si narra che ELP avrebbero voluto essere HELP e perciò chiesero di unirsi a loro tanto a Jimi Hendrix quanto a Steve Howe, che rifiutarono entrambi. Benché il vostro disco e il vostro sound siano praticamente perfetti, avete pensato anche voi di chiedere aiuto a qualche chitarrista da inserire in pianta stabile nella formazione?
E: la chitarra (sto per dire una cosa "forte") è uno strumento che non ho mai amato molto. Il musicista è un medium che usa lo strumento come tramite (l'attore ad esempio usa se stesso come strumento performativo) e nel caso della chitarra trovo che sia uno strumento portatore di determinati atteggiamenti psicologici compulsivi. Lo so, sembra stupido dire cose del genere: in fondo gli strumenti sono un tramite per realizzare della musica ed è chi li usa a fare la parte del leone. Infatti è il comportamentista che c'è in me che parla. Qualche volta lo lascio sfogare...



Il Grande Spirito di Daevid Allen e dei suoi Gong aleggia ovunque in questo disco, così come quelli di Hugh Hopper e Kevin Ayers dei Soft Machine. Ma su questa base di fondo si innestano suggestioni variegatissime: Gentle Giant, Genesis, Pink Floyd, Colosseum, ma anche band non prog come Doors, Beatles, Stranglers. Mi incuriosisce sapere se questo straordinario e naturalissimo mix è il risultato di un processo compositivo in cui le idee sono fluite spontaneamente, quasi non mediate, o di uno più razionale e “costruito” come capita talvolta nei gruppi prog.
E: i The Winstons sono nati come le classiche leggende post adolescenziali: così, per caso, per voglia, per divertimento e tutti i termini classici che definiscono la leggerezza della condivisione. Enrico, Rob e Linnon amici da anni hanno suonato insieme per anni in varie formazioni miste e spesso nei concerti di Roberto Dell'Era, si sono messi assieme (ben oltre l'età della ragione) per il preciso scopo di stare assieme e suonare in quella way of life che ha a che fare con l'indole e non solo con le idee. Eravamo una band prima di esserlo. Abbiamo solo deciso di farlo. La musica è figlia naturale di tutto questo discorso. Nello specifico Linnon ha portato i brani più affascinanti ed emotivi, Rob quelli più forti e comunicativi e io quelli più strani e inqualificabili.

Di che parlano le canzoni? C'è un argomento comune tra tutte?
E: il testo di "Play with the Rebels" racconta la storia, con toni da "Fragole e Sangue" se vogliamo, di due persone che si danno appuntamento ad una manifestazione, poi la manifestazione degenera e loro non riescono più a trovarsi disperdensosi nella folla. "She's my face" è un testo molto soul che parla di una lei che si è rubata la faccia di lui, nel senso di personalità, ma anche di schermo, e Rob ha legato ad un'esperienza personale vissuta ai tempi di Birmingham assieme al suo amico Jason Endsor, altro autore del brano. Gli altri brani non vogliono dire niente di preciso: sono solo immagini e niente più. Lo sappiamo come gli italiani sono legati al senso dei testi in modo quasi prioritario: è per questo che si sfiora il non sense praticamente sempre. Dei testi in giapponese di Gun poi tutti noi abbiamo dimenticato il significato da mesi. Meglio così.
Linnon: "Nicotine Freak" è un brano in due parti con testo filosofico/non sense. Scavare un buca per ritrovare le vecchie parti del tuo io seppellite di anno in anno e scoprire poi che sei sempre lo stesso matto fuori dal tempo. "Flick flick flick you're a Nicotine Freack..."
Il testo di "... On a Dark Cloud" parla di un viaggio in aereo che si trasforma in un bad trip con conseguente panico, mentre "Dancing in park with a Gun" vuole essere un visionario omaggio agli improvvisi temporali estivi. Un giorno forse lo spiegherò meglio 'sto concetto... "Tarmac" parla di amore amaro in una scialuppa di salvataggio in un mare nero vicino ad una balena.

Collaborano al disco Gun Kawamura (è il vostro Damo Suzuki?), Xabier Iriondo, Roberto D’Azzan, Gianluca De Rubertis e Jason Endsor. Ne parliamo?
E: Gun con Damo (persona squisita, tra l'altro), non c'entra assolutamente nulla. L'unico tratto biografico in comune è la scelta, che per un giapponese è comunque forte, di vivere in Europa anziché in suolo patrio. Damo è ossessionato dall'improvvisazione e dalla cucina mentre Gun è un pittore e un musicista garage psichedelico. Vi consiglio di andare a vedere un suo brano dal titolo "Mawatte Mawatte":

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Un'altra cosa interessante è la sua intera serie pittorica de "I Nudisti Timidi" da cui è presa la cover paint dell'album. Xabier non ha bisogno di presentazione: è una colonna vivente e un grandissimo amico che concepisce progetti con una velocità centrifuga ben superiore alla mia (!). Roberto è un bravissimo trombettista friulano, ex Mellow Mood. La vicenda con il nostro caro Gianluca è più ellittica: intorno al 2009 assieme con Rob avevamo messo in piedi una band in stile "calcetto il mercoledì sera" che si chiamava I Ceffoni. Avevamo composto una manciata di brani un po' a caso e un po' no. Tra questi c'era un pezzo che sarebbe poi diventato buona parte di "Play with The Rebels" ed era di Gianluca. Jason è una storia di Rob dei tempi di Birmingham...
Rob: Jason Endsor è primariamente un super cantante e performer. Ci siamo conosciuti a Parigi mentre eravamo entrambi viandanti e buskers in giro per l'Europa. È stata una delle maggiori fonti di ispirazione per un periodo, un compagno di avventure in tutti i sensi, e lo è ancora anche se non siamo più nello stesso posto fisico. "She's my Face" l'abbiamo scritta e cantata insieme durante una sessione di registrazioni su nastro saltuarie durata un anno che culminata in un disco. Che ha ciclomotori ma non è mai stato prodotto ufficialmente. Era una versione diversa, forse per errore l'abbiamo incisa molto più veloce e sostanzialmente con un impianto ritmico diverso. Qualcuno ci ha visto i Doors qualcuno i Colosseum.

Tutti i Winstons compaiono al completo già in “La canzone di Jimmy”, il primo brano di “Stare bene è pericoloso” di Roberto. In quell’album c’entrano anche Xabier e Jason. Quanto sono collegati i due dischi? E, più, in generale, quanto hanno influito i lavori con le vostre band di provenienza su questo disco?
Rob: Vero non ci avevo pensato! Ma del resto sono i miei amici e collaboratori più vicini, è stato naturale che collaborassero sul disco. È una bella lineup, è sono molto fortunato che il rapporto personale e quello musicale coincidano. Sarà così sempre di più. Ogni band è una famiglia con diversi valori e interscambi. Da tutte le esperienze imparo qualcosa e ridistribuisco energie e vibrazioni diverse. Diciamo che siamo un po' dissociati da certe cose ma ben dentro la consapevolezza delle energie dell'amore e della musica nella sua accezione più cosmica, onirica, dissoluta e sabotatrice, se si può dire, e se a qualcuno interessa che io lo dica. In un paese piuttosto omertoso e ipocrita come il nostro ci sentiamo molto sani tutto sommato. Jason è un altro fratello cosmico con cui ho deviato il corso della mia vita in un paio di occasioni uno di qui angeli che aprono le sliding-doors. Xabier è un grande sperimentatore e conoscitore di varie arti oltre a quella della vita. Una vicinanza che mi stimola e porta buone vibrazioni.



Al di là del passato nei Mariposa di Enrico, frequentate la scena prog italiana o vi ci siete inseriti di colpo con questo disco?
E: Ai tempi dei Mariposa il termine "progressive" era semplicemente tabù, ammantato di pustole e sfiga. Per chi non ha un quadro chiaro degli inizi anni 2000 dico in breve che c'era un fiorire di indie label come la Homesleep, la Gammapop, la Mescal (quest'ultima con dei mezzi ben più che indie) e molte altre che avevano un rapporto assolutamente controverso (se non addirittura ostile) contro il cantautorato e il progressive rock. Erano gli anni del post-rock imperante e della seconda ondata inglese e americana MTVcentrica. I Mariposa erano stati associati al calderone cantautorale che fino a "Canzoni dell'Appartamento" di Morgan del 2003 era roba da "cani morti" (una delle tante graziose definizioni). Poi nel tempo i Mariposa si sono distinti con una fan-base tutta loro e tutta "Mariposa". Ma di "progressive rock" si parla con la sicumera con cui si parla di "metal" o di "techno", tanto per fare un paio di esempi, solo da pochi anni. Che poi ci fosse una scena personalmente io l'ho scoperto solo con i The Winstons. I Mariposa proprio non ne erano al corrente.

Ho letto che vi siete stupiti molto del grande successo del vostro primo tour, che ha visto diversi sold out. Invece secondo me è la cosa più logica del mondo: siete il gruppo giusto nel momento giusto, quello del ritorno prepotente del progressive. Quello che è strano è che le riviste di settore lo ignorino, ma il fenomeno esiste ed è in crescita. Come vi ci trovate?
E: io non credo che sia un momento di ritorno del progressive, ma spero almeno sia quello della sua liberalizzazione. Spero in sostanza che sia un momento di passaggio importante, in cui dire "prog" non è più sintomo di "parrucconate prive di significato" contrapposto alla "verità" di altri atteggiamenti musicali (che cazzate questi discorsi…). Ma semplicemente un altro bagaglio di informazioni in più da cui attingere. Poi in sé e per sé io non sono mai stato un progster. Solo che è facile, se suoni tastiere e fiati in un ventennio come quello trascorso dove le tastiere erano appannaggio del secondo chitarrista e i fiati orpello da jazzisti e immaginario da teatrino circense, che vieni affibbiato a quel mondo. I cliché inutili sono inutili in qualsiasi contesto musicale o in qualsiasi genere di popular music. Tradotto: gli stronzi non hanno nazione.

Parliamo del nome della band: ok, fumate tutti sigarette di quella marca, nobilitata dalle citazioni dei King Crimson e di Zappa. Ma che sia anche un omaggetto piccino ai Camel proprio no?
E: può darsi. Ma è casuale. Di sicuro non vorremmo sembrare un'apologia del fumatore anni '70. È che oltre alla semplicità del nome nato nella classica vita da bar c'è un non so che di orwelliano e di evangelista (padre Winston è un po' un nome da pastore) e pure da band garage punk che ci piaceva. Ci piace anche chiamarci con lo pseudonimo a casaccio come Rob Winstons, Enro Winston's e Linnon Winston. E ti dirò anche che ci piacciono gli strafalcioni in inglese che combiniamo a volte (in)volontariamente sui comunicati, le didascalie e i dvd. È tutto all'insegna dell'incoscienza e in quello sì siamo simili ai Camel quando, in leggerezza, si beccarono una bella denuncia dalla Camel...



È interessante come nel disco non si riscontri nessun riferimento alle band storiche del progressive italiano, che nel mondo è stato secondo solo a quello inglese. Non è uno scandalo, perché uno va dove lo porta il cuore e, anzi, questo collegarsi direttamente con le fonti dell’ispirazione progressive - quelle sostanzialmente inglesi – alla fin fine replica un po’ quello che hanno fatto all’epoca i mostri sacri nostrani. Ma davvero non ve ne piace nemmeno uno?
E: il magazzino dell'AMS records di Matthias Scheller è il Parnasso del progressive italiano. Lì dentro hanno tutto, per cui in un certo senso è come se quel tipo di progressive lo avessimo assodato e sulle cui robuste spalle ci fossimo sollevati in piedi per andare verso i miti più anarchici della nostra infanzia musicale. È un meccanismo mentale tipico quello del cercare l'"altrove", non dico nulla di nuovo. Ma al di là della musica di gruppi come i Maxophone, i Napoli Centrale o il Balletto di Bronzo percepiamo nel progressive italiano anni '70 un'epoca di politica ideologica molto tesa che in quella Canterbury un po' hippy ma piena di menti folgoranti, menti analoghe a certi cervelloni dei primordi dei computer nella California anni '60, aveva più sbocco nell'anarchia. Dichiararsi anarchici per i The Winstons non è solo un vezzo stampa è proprio che artisticamente, ognuno a nostro modo, lo siamo sempre stati.

Ok, stasera potete avere ospite sul palco un musicista progressive italiano e uno straniero, viventi o resuscitati per l’occasione. Chi chiama ciascuno di voi e su quale pezzo lo fareste suonare / cantare?
E: io vorrei avere Didier Malherbe su "Diprotodon" e tutta Nuova Consonanza al completo (con Morricone che suona la tromba maluccio) su "Zip to Zap Riot Trip" o qualche altro brano improvvisato.
Linnon: Robert Fripp ed il suo Frippertronics con i Genovesi "Picchio dal pozzo" nella parte psichedelica di "Dancing in The park with a Gun"
Rob: Difficile la scelta sul fronte inglese, molti purroppo ci hanno lasciato: Wyatt? Michel Giles? Peter Gabriel? Mi piacerebbe fare jam con Farinelli & Tofani e chissà forse succederà...

Avete progetti per l’estero? 
E: il disco è distribuito worldwide da BTF e spuntano fuori recensioni di tanto in tanto su riviste, blog e siti di settore un po' in qua e in là (l'ultima dalla Russia). Ma la nostra meta è ovviamente il Giappone e l'oriente in generale. Ci piacerebbe molto andare a suonare là e stiamo costruendo pezzo per pezzo un piccolo ponte di comunicazione. Intanto uscirà una pubblicazione a tiratura limitata in cd+dvd dal titolo "Live in Rome - an experimental-live-show-movie". È una prossima pubblicazione per il tour di aprile che sta arrivando e ne faremo una versione, assieme a Gun Kawamura speciale per il Sol Levante. Vedremo che succede.

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L'articolo The Winstons - Indole, non solo idee di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2016-03-29 11:11:00

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