Truma

Truma

Truma

2016 - Cantautoriale, Folk, Acustico

Descrizione

L'isola ha inizio né fine percepibile, atomo in sé compiuto e autosufficiente. Cammina il perimetro, e ad ogni limite frange solo onde: rafforza il senso di comunità, portandolo a sintesi dogali, o per converso bestiali. Nell'isola permane più radicato il dialetto, l'accento, modi di dire: chi vi nasce tende a fuggire ma solo per riaversi, ostrica del Verga che muore di nostalgia ma quando torna dopo un giorno muore per la voglia di andare via. Isolatria è il sentimento che coviamo latente in acquaferma: quando ci manca la terra sotto ai piedi da un momento all'altro e non pensiamo stia per succedere una catastrofe, ma lo troviamo del tutto naturale. «Nel mezzo di ogni tempesta, lontani da ogni certezza»: è l'insicurezza tipica delle isole, dove a barca affondata non serve più la sèssola. “Io sono Li”, noi siamo qui: isole comprese. O almeno, comprensibili.

«Hai visto che differenza c'è, tra noi e il resto del mondo»? Truma è il sedimento sopra cui sono costruite le case della laguna: le fondamenta, le radici, l'eredità. Come la foto di nonno Bepi, in posa impomatata mentre suona il mandolino con quattro compari, nel 1922. Facevano ballate popolari veneziane: di colpo la foto trascolora, la mascagna e la cravatta passano al nipote di sangue cent'anni dopo, banjo e chitarre diventano esperte fisarmoniche, basso, bacchette sopra un pavimento di piastrelle arabescate in perfetto stile laguna.
Sono nuove canzoni folk d'autore, scritte oggi e che parlano di oggi, dalla prospettiva del popolo lavoratore e calerasso, con sguardo rivolto verso l'alto. La lingua dei Truma è un chioggiotto vivo, reale, pulsante, che recupera termini molto localizzati -pasto a intendere le viscere animali, guàe sta per lame arrotate- ma senza saccheggiare inutilmente gli arcaismi raccolti da Riccardo Naccari nel dizionario che ha quarant'anni ormai.

In un disco di pesca, le donne sono protagoniste, oggetto o soggetto della narrazione, carèghe in calle come nelle Baruffe chiozzotte: poco è mutato, a difesa dei propri uomini, della propria casa, di poveri averi. Vedi la saporita tarantella “Col fio in brasso”, teatro a cielo aperto da San Domenico ai Salesiani all'epoca dei barchini dei vongolari, comunità chiusa perché «nei nostri mistieri no se se intrighe». Ricorrenze sono i santi patroni Felice e Fortunato, martiri di origine vicentina; ricorrenti i gatti, le buèle delle sardine (piatto topico della cucina clodiense), le seppie séche o in umido, a cottura lentissima nella sarabanda rebetika “Tuto in mez'ora”.
Un mare di città che chiama la diga di Finisterre, volta la carta e trovi gabbiani a passeggio, egemoni, mendicanti avanzi invendibili tra la pescheria e la riva. Volta la carta e trovi isole perdute di spleen: due strumentali di memoria Calexico periodo “Tool box”, alba a Sottomarina e tramonto a Zara, Ca' Roman «un muro di anime in mano al destino», l'isola frontaliera di Pellestrina da sempre “rivale” e già Venezia, in lotta per strappare terra al mare come l'Olanda ma secoli prima. Acqua di Eraclito che per sei ore cala e per sei ore cresce, onda concentrica di un sasso lanciato sul Lusenzo, Adriatico che ha portato il Cristo a San Domenico, e ogni giorno porta i cristi a bordo fino agli squèri di Walter Pregnolato. «Sono gelide quelle mattine quando, dopo la sirena, le strade diventano il fondo del mare»: una Mont-saint-Michel lagunare il cui fango custodisce per secoli i resti delle pipe in terracotta che abbiamo solo noi, le nuove pipe in terracotta che siamo solo noi.

C'è Capossela nel ballo d'amore “De sora de mì”, affiora il De Andrè di “Creuza de mä” in “Ca' Roman” -fa argutamente notare lo scrittore Renzo Cremona- tra le reminiscenze Waterboys (nomen omen) e Pogues, con “Il mare”: unico brano in italiano da una precedente produzione, i Revolution da cui proviene il nucleo storico. “Zogèlo” la prima prova scritta in dialetto, verticale è “No so nuare”: ammissione d'impotenza, nonostante ci sia molto da fare anche a terra, per esempio cantare. È la cover letter di Riccardo Vianello, pescatore non praticante -con rammarico, «resto in tèra perché altro no so fare»- e autore di canzoni d'amore per fratelli martiri e patroni di altri come loro, sorpresi dalla cometa del grande raccolto, più grande della barca e di loro stessi, scomparsi sotto il pelo dell'acqua senza saperla camminare, ora icone nelle vele dell'eterna rete tra l'uomo e la sua natura.
Non c'è verderame né lutto, né crepa tra i mattoni che possano separare la sorte di quella comunità che dovesse rinunciare all'acqua: assieme andremo a fondo, dove c'è la truma, o assieme sopravvivremo, sopra la truma galleggiando.

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