Alcuni suggerimenti dai Viito per vivere "Troppo forte"

Abbiamo incontrato i Viito il giorno della pubblicazione di "Troppoforte", e abbiamo parlato di come abbattere le barriere dell'odio

I Viito non sapevano che il nome del loro disco fosse anche una mossa di Pokémon.
I Viito non sapevano che il nome del loro disco fosse anche una mossa di Pokémon.

Ho cercato su Google il nome del primo disco dei Viito, "Troppoforte", edito da Sugar, perché mi ricordava qualcosa. E ho scoperto che "Troppoforte" non è solo l'album che raccoglie i fortunati singoli e inediti di questo duo indie pop pugliese-molisano, ma è anche tutta una serie di cose interessanti. 
- Una mossa Pokémon di tipo lotta, con potenza 120 e precisione 100 
- Un sito che dovrebbe aiutare a usare siti di incontri: “Su Troppo Forte ti spiego come si scopa facile e gratis”
- Un film di Verdone del 1986
- Un negozio di vestiti che arriva alla 10XL a Parola di Fontanellato (PR)
- Una canzone di Benji e Fede che dice “Ti amo troppo forte”.
Così ho pensato che fosse il caso di parlarne direttamente con loro, e ho potuto constatare che l'intento dei Viito è farci vivere una vita a potenza 120 e precisione 100.

Potreste dire che il vostro disco assomigli un po' a qualcuno di questi elementi? Un po' film di Verdone, un po' sito per scopare...
Giuseppe: Della mossa di Pokémon non lo sapevamo! [ridono] In realtà zero, è solo il nostro disco. Anche perché "Troppoforte" nel nostro caso vuole avere un'accezione un po' romantica, vuole dire non tanto "troppo forte" in senso letterale, ma descrive quel momento in cui sai che stai esagerando, che stai vivendo la vita in modo troppo forte, ma lo vuoi fare lo stesso. Ad esempio nel pezzo "Troppo forte" diciamo "voglio bere troppi cocktail, chiamarti troppe volte".

Insomma uno stile di vita sano ed equilibrato!
[Ridono] Vito: Quella è una cosa generazionale... in ogni caso sì, "voglio chiamarti troppe volte" nonostante magari si sappia che è sbagliato, nonostante si pensi "questa tipa mi manderà a quel paese", nonostante si sappia che è un errore, io lo voglio fare.

Vivere a tutti i costi, vivere all'ennesima potenza.
Vito: Sì, un inno alla vita a prescindere da quelle che sappiamo essere le difficoltà. Sai benissimo che quando ami una tipa troppo forte vai a perdere... come diceva Battisti: "Neanche un minuto di non-amore, è questo il risultato". Ti ho amato così tanto, e comunque questo è il risultato.

Però per la nostra generazione non è scontato buttarsi nelle cose... Pensando alle pare amorose dei miei amici mi viene in mente questa frase ricorrente: "Con te sto benissimo, ma in questo momento non mi va di legarmi". Quante volte ve la siete sentita dire e quanto ci credete, è un nascondiglio?
Vito: È sempre più difficile legarsi, perché legarsi comporta un'aggiunta di pensieri. Siccome, secondo me, i giovani in questo momento hanno già a che vedere con diverse difficoltà, quello che prima era un valore aggiunto adesso è visto come un problema in più. Era un modo di scappare dalla famiglia: c'era una donna, il matrimonio... insomma ci si legava così. Adesso invece, al contrario, diventa un obbligo che è difficile rispettare, date anche le tantissime possibilità che questo mondo ci offre.
Giuseppe: Poi è la paura che tante volte ci blocca, per questo una canzone magari può essere la scusa per alzarsi un attimo e andare fino in fondo, mandare quel messaggio, fare quella telefonata... "Non voglio legarmi" ce lo siamo sentiti dire, lo abbiamo anche detto, però l'obbiettivo deve essere per tutti tentare di non farci fregare da questo genere di limite.

Quindi tutto sommato legarsi alle cose non è male.
Giuseppe: Legarsi non è male, a patto che poi quando le cose si slegano da te tu sappia accettarlo.
Forse la paura non è tanto quella di legarsi, ma la paura successiva di affrontare un cambio negativo, una perdita. Noi siamo una generazione un po' così, col timore di affrontare cose negative sul nostro cammino e mantenere strette quelle positive, forse perché ci hanno sempre ripetuto che le cose vanno male. A volte la propria individualità, la propria libertà è una di queste cose positive e legarsi a una persona può sembrare un rischio. Però, appunto, il nostro disco è un inno al "nonostante questo voglio buttarmi".

Come si è arrivati a questo suono, che percorso c'è stato dietro?
Giuseppe: Dobbiamo ringraziare molto Marta Venturini che è stata la nostra produttrice artistica. Siamo andati a Studio Nero, questo studio di Roma abbastanza conosciuto (dove per esempio è stato prodotto "Mainstream" di Calcutta, per dirtene uno), e con lei abbiamo iniziato a sperimentare, finché non abbiamo trovato una sintesi sonora che ci rappresentasse. 

Ci sono stati riferimenti sonori, che hanno dato un po' la direzione in cui andare?
Giuseppe: Più che riferimenti sono suggestioni, cose vaghe, che è difficile elencare. Posso dire che abbiamo lavorato come fosse un'architettura: ci sono più strati sonori che poi abbiamo missato tra di loro. Marta è molto brava a fare questo: prendere un brano, su cui costruire delle basi solide, sulle quali poi viene alzato un muro solido e dritto. Io penso che il sound di questo disco sia molto solido, se vogliamo usare un aggettivo: solido, rotondo. 

Tornando sul vissuto, sul pratico, conoscete dei metodi convenienti per fare Roma-Milano? È una tratta che faccio spesso...
Viito: Fatti fare i biglietti da Sugar! [ridono

In tutte le interviste dite che siete coinquilini... state sempre a Torpignattara?
Viito:
Sì, sempre insieme, sempre lì.

Dai, a questo punto consigliatemi un posto per mangiare a Roma Est...
Vito: Sotto casa nostra c'è Betto e Mary! In realtà noi non siamo esattamente a Torpignattara, ma in un piccolo quartiere che si chiama La Certosa che sta tra il Pigneto e Torpignattara, e lì c'è Betto e Mary che è un posto famosissimo tra i romani.

Grazie, me lo segno. E capitano ancora le schitarrate in San Lorenzo?
Vito: Certo! Ieri ad esempio siamo usciti in un bar di San Lorenzo, c'era questa ragazza che si doveva sposare e le ho cantato a cappella un paio di canzoni. Giusto per amalgamare il vino con un po' di felicità.

E quando si schitarra qual è il vostro cavallo da battaglia?
Vito: La prima che mi viene in mente è "Disperato Erotico Stomp", che in quei momenti di convivialità è quella con più successo. Poi tante altre... di Rino Gaetano soprattutto.

Se Gaetano e Dalla sono i vostri mostri sacri della musica del passato, nei vostri pezzi si sentono due grossi riferimenti presenti, ad esempio nell'uso della voce e nell'impostazione dei pezzi: Calcutta e Thegiornalisti. Tra i due chi evidenziereste di più come influenza del vostro percorso?
Vito: Sono degli ascolti generazionali... quello che abbiamo messo nel disco, poi, parla delle nostre anime. L'anima viene influenzata da ciò che entra nelle orecchie e arriva al cervello...
Giuseppe: Quindi è tutto un po' inconsapevole, è difficile da distinguere. Ma se proprio mi puntassero una pistola alla tempia, io direi Thegiornalisti.
Vito: Secondo me l'unica cosa che ci accomuna a questi artisti, più che i suoni e la voce, è la generazione. L'espressione di una generazione che dice delle cose che vive. 



Spesso nella musica di questa generazione quello che si esprime è un disagio, si racconta nei modi più diversi, ma sempre lì si torna. Voi però affermate spesso che nella vostra declinazione c'è una spinta più vitale e ho sentito che ogni tanto nel disco inserite anche qualche riferimento all'attualità: in questi anni di odio istituzionalizzato, qual è secondo voi l'elemento che può dare una risposta?
Vito: L'amore. Il sorriso alla negatività.
Giuseppe: Noi parliamo sempre di anime, anche in modo simpatico: i nostri fan li chiamiamo anime, sui social e così via. In realtà c'è anche un risvolto che può essere serio, e che si lega a quello che stiamo dicendo: dobbiamo forse tornare a ragionare senza seguire tutte le cose che ci spingono a dividerci. Ciò che ci unisce, come la musica, è bene; ciò che ci divide è male. Oggi dividerci è l'obbiettivo di tutti quelli che devono venderci qualcosa, che devono convincerci a fare delle scelte che magari vanno contro i nostri interessi. Io penso che se noi ci fermassimo un attimo a ragionare, anzi, a sentire che siamo tutti la stessa cosa, che siamo tutti uniti, di colpo avremmo fatto un passo avanti gigante. L'odio non è altro che questa cattiva abitudine di pensarci diversi: io sono qui, tu sei lì, se tu stai male io posso stare bene. Non è così: se stai bene tu, starò bene anche io. È molto semplice come concetto, ma oggi sempre di più lo stiamo perdendo di vista. Poi fa sempre più notizia l'aereo che cade rispetto alle migliaia di aerei che volano ogni secondo; quindi è chiaro che un post di odio fa notizia, sembra che ci sia solo odio. In realtà dobbiamo essere in grado di riconoscere gli aerei che volano, l'amore, tutto quello che funziona, e magari portare quello, sottolineare quello, iniziare (come tentiamo di fare noi) a raccontare quello nelle canzoni, nei film. Noi stessi a volte ci auto-rappresentiamo come degli sfigati, in realtà non lo siamo affatto.

Quindi è ancora fondamentale parlare d'amore.
Giuseppe: Amore in senso lato, amore è anche passione...
Vito: ...È anche positività nella negatività. Cioè fare uno sforzo in più, invece di esse neorealisti rispetto alla negatività, e evidenziare la prospettiva positiva che ci può essere in una situazione. Vorrei dire soprattutto che l'odio ci fa perdere la libertà: quello che sta succedendo in questi giorni, in questi anni, è discriminare, dividere in piccole minoranze. Questa cosa ci fa perdere in qualche modo la libertà, perché ci rende schiavi dell'odio.
Giuseppe: Sì ma anche se sei quello che accusa, in realtà, vivi gli stessi disagi dell'accusato, perché riempi le tue giornate di odio, e non è una bella vita. Nonostante tu sia quello che sta accusando, fai proprio una vita di merda. Quindi non ci guadagna nessuno. Anche chi è nella posizione che sembra comoda può passare il tempo a fare cose molto più appaganti per sé stesso piuttosto di odiare qualcuno.

Nel vostro disco in effetti tirate fuori molte cose migliori da fare rispetto a odiare. 
Giuseppe: Sì, poi c'è una vena di malinconia che sta sotto come un filo conduttore. Questo filo però è mantenuto da alcune mollette che lo tengono su, le mollette sono tutti i risvolti positivi. In "Mondiali" per esempio, che fa un parallelismo tra l'Italia che non va ai mondiali, tutto il Paese che vive una difficoltà, e la crisi di una coppia. "Amore io e te siamo lontani, come l'Italia che non va ai mondiali, non so se il paese sta male oppure siamo noi che non abbiamo più spina dorsale", però dopo il ritornello finisce con "ricominciamo domani". 

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Ma da dove viene questa speranza? Tra tutte le che cose vanno male è spontaneo disperare.
Vito: È un sentimento animalesco, è un sentimento di sopravvivenza. Se tu pensi a quando l'Italia è stata bombardata nella Seconda Guerra Mondiale, la gente si è rimboccata le maniche e ha iniziato a ricostruire, dal giorno dopo. Il Verano era sconquassato e la gente usciva dalle case, nonostante la sofferenza, già con l'idea di rifare una nuova piazza. 
Giuseppe: Poi noi veniamo dalla provincia più estrema: noi siamo romani d'adozione, ma siamo nati e cresciuti in paesi molto piccoli, nella campagna, e laggiù questa è proprio una cosa basilare della vita. La piantina che cresce tra le macerie. 

Meglio Trump o la trap?
Viito: La trap, di sicuro. Quella frase in "Compro oro" l'abbiamo messa in modo simpatico!

E il vostro trapper preferito?
Vito: Più che un trapper preferito, a me piace molto una canzone che si chiama "Giovane Fuoriclasse" (di Capo Plaza, ndr), la cantiamo in macchina con gli amici. 

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L'articolo Alcuni suggerimenti dai Viito per vivere "Troppo forte" di Pietro Raimondi è apparso su Rockit.it il 2018-09-10 13:59:00

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