Accordo dei Contrari Kublai 2011 - Progressive

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Il meglio del prog, senza estremismi barocchi e pseudointellettuali

Se suoni musica prog sei un vecchio o uno sfigato, e c’è da dire che il più delle volte le due caratteristiche coincidono. Se suoni musica prog passi le ore a metter su suite sinfoniche dalla durata eterna spacciandole per capolavori e il tempo che ti rimane lo passi su eBay a cercare la Gibson a doppio manico a un prezzo perlomeno decente. Magari avresti dovuto tenere presente che un giorno, all’incirca 34 anni fa, sbarcò sulla terra Johnny Rotten a restituire all’umanità la libertà perduta, ma tu non c’eri e se c’eri non ascoltavi, impegnato com’eri a programmare le vacanze su qualche isoletta sperduta tra gli oceani topografici.

Oppure no, perché può anche essere che suoni e ami il progressive e non sei né vecchio, né sfigato se poi riesci a tirar fuori dischi come “Kublai”. Che con la prima metà dei ’70 ha molto a che spartire, soprattutto dal punto di vista di un certo atteggiamento, poi se gli Accordi dei Contrari siano o no un gruppo prog, beh, il dibattito è aperto. Mettiamola così: da quell’esperienza la band bolognese prende il meglio, rinunciando agli estremismi barocchi e pseudointellettuali, per calibrare la propria cifra stilistica con il jazz, qualche spruzzatina etno, l’improvvisazione e un certo gusto per la melodia.

Certo, poi rimane tutto il resto, come il moog che miagola o le chitarre prese in prestito da John McLaughlin (ascoltare “G.B. evidence” per credere). Senza contare un omaggio agli Area (“Arabesque” potrebbe essere tramandata come la “Luglio, agosto, settembre nero” del nuovo millennio, se non fosse per la mancanza di un vocalist) e un’impostazione generale che rimanda al pre-punk con tutti suoi pregi e i suoi difetti. Poi, però, si può dimenticare tutto quando arriva “L’ombra di un sogno” e senti cantare un certo Richard Sinclair, uno dei fondatori dei Caravan: un pezzo splendido, pieno di atmosfere notturne, quasi easy-jazz, che puoi programmarlo in loop che tanto non ti stanchi, lo metti e lo rimetti e concludi che affibbiare etichette potrebbe anche non servire quando un disco è suonato bene, ispirato e pieno di energia come “Kublai”. E poi Johnny Rotten ha fatto una brutta fine, mentre gli Accordi dei Contrari non li vedremo mai a brutalizzarsi in qualche reality televisivo. Forse.

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La recensione Kublai di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-01-20 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • giuseppecatani 12 anni fa Rispondi

    è un libro che raccoglie incipit mostruosi?

  • fabiozuffanti 12 anni fa Rispondi

    la recensione è bella ma l'incipit è mostruoso. ti sei guadagnato un posto d'onore nel mio libro :)