SuperTempo Brother Sun, Sister Moon 2012 - Punk, Pop rock, Garage

Disco della settimana Brother Sun, Sister Moon precedente precedente

Power-pop grezzo e garage-punk, con poca voglia di starci a pensare. Non sempre la troppa concentrazione aiuta.

Che genere fate, gli hanno chiesto in un'intervista. "Mah, power pop, con poca voglia di starci a pensare". Ecco, per parlare dei SuperTempo partirei da qui. Non tanto dal genere, dato che il power-pop è solo uno dei tanti componenti del loro sound. Quanto proprio dalla poca voglia di starci a pensare. Chiamatela sfrontatezza la loro, chiamatela naiveté, chiamatela indolenza, chiamatela lo-fi: magari è un po' tutte queste cose. Come anche il moniker: la prima volta mi sono chiesto, ma SuperTempo che cacchio vuol dire? Sembra una nuova linea dei fazzolettini, battezzata da un copy-writer imbucato e senza idee... Però SuperTempo suona, come nome, se ci pensi. E' stupido, va bene, ma te lo ricordi, senza starci troppo a pensare.

Come i fazzolettini, anche la band veneta ha diversi strati, Il primo, si diceva, è il power-pop, quello grezzo e sbarazzino: pezzi da meno due minuti e se ti piace bene, se no prova con quello dopo. "Denim Boy", il singolo che me li ha fatti scoprire, è così. Irruenza giovanile, Rickenbacker, uu-huu in sottofondo. Una bomba da novanta secondi.

Secondo strato: il garage-punk. Che sia sixties revival alla Creeps ("Franco B."), nervosetto e stoogesiano ("Unknown 84", ), buon '77 scuola Buzzcocks ("Meet Kurt", "Being San Francisco") oppure pseudo-hardcore ("Having read your horoscope I can't help"), il risultato è sempre lo stesso: mai troppo preciso nella riproposizione, sempre tremendamente godibile. Di gruppi cloni e tribute band è già pieno il mondo, dunque perchè non scrivere come usava una volta: ispirandosi ai grandi (con poca voglia di starci a pensare, ovvio), non scopiazzandoli.

Ma non divaghiamo: terzo strato, la pop song feriale, quella che magari in una scaletta non fa la parte del leone ma fa comunque sentire distintamente la sua voce, non solo per dare unità al tutto. "To the sea by walking", per dirne una, è un pezzo che agli Strokes recenti non dispiacerebbe avere in repertorio, così come la più serrata "Mariabella" a Billy Childish, o "Ok you're gay" ai recentemente riuniti Blur (a condizione che accettino anche il bridge psichedelicheggiante, ma a riguardo si può immaginare un Coxon entusiasta).

Ultimo strato: l'imprevisto. Lo sono ad esempio la copertina flower-power (ma che c'entra?), il titolo francescano (idem), o l'improbabile urletto al termine di "Dining a dinosaur" e lo sgangherato delta blues dopo "Being S. Francisco". Ma anche l'improvvisa serietà di "Jesus & co.", la cui assonanza coi Wilco periodo "Yankee Hotel Foxtrot" va oltre il titolo del brano; o l'irresistibile country-punk di "Sons Of A Postman".

Funziona tutto maledettamente bene, anche l'imprevisto. Non può essere solo merito della "poca voglia di starci a pensare", chè tutti questi strati sonori non si mettono insieme da soli. Abbiamo di fronte un disco d'esordio coi fiocchi, e non è un caso fortuito. Chapeau.

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La recensione Brother Sun, Sister Moon di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-10-15 00:00:00

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