Simona Gretchen Post-Krieg 2013 - Rock, Noise

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Mille declinazioni dell'oscurità.

Suoni oscuri, tesi, affilati, tesi come lame. Si dischiudono mondi, apocalittici come le liriche, infernali come i suoni di basso, come sospesi prima del baratro. E' “Post Krieg”, è il secondo disco di Simona Gretchen. Ventisei anni, una vita in provincia, una mano che conserva gelosamente “Ortodossia” dei CCCP, l'altra che accarezza Bjork.

Otto tracce, come se fossero un'unica, eterna ed interminabile. Come quelle telefonate di addio, come le lacrime di chi è stufo, lettera testamentaria di una sensibilità negli anni zero. Parole intrecciate come fili di un tessuto, incrociando inquietudini ed orrore, mondo esteriore ed interiore, quasi fossero parti di un unico ed infinito letamaio dell'uomo, discarica di sentimenti ed umanità, un gigantesca fila di lamiere umane, disastri, scenari postbellici dell'essere.

Un lavoro foriero di sensazioni, ricercabili nelle fessure di un disco di Momus, o nelle vene tenebrose che scorrono tra le linee di un pezzo di David Tibet, fiorite in lande poco esplorate da un cantautorato, in fondo un po' accomodante e dolce, come quello italiano. Amaro in bocca, la salivazione a zero, la trilogia finale come una serie di pugni sullo stomaco dati alla coscienza collettiva, dalle inquietudini del presente. Guerre interiore, macello esteriore. Come l'altra faccia della luna, come il lato oscuro dell'estasi anni ottanta, come il dolore che si cela dietro l'edonismo, tanto pagana quanto sacrale dimensione esistenziale.

L'egocentrismo di “Pro(e)vocation”, l'autoreferenziale nelle note del quotidiano, dalla politica alle relazioni umane, raccontate quasi fossero una ninna nanna della civiltà, un girotondo contro il mondo, favola nera dal pessimo finale, omelia della fine, l'ennesima preghiera della morte sociale di questo paese.

Una poesia che non cela il reale, né lo annacqua a suon di metafore, ma sbatte in faccia lo schifo, mostrando un cuore sporcato dal fango, annerito dalla cenere funerea della società contemporanea. Grigia come il cielo della Manchester vista da Dickens, tormentata come la pittura espressionista. Insieme odio ed amore verso l'uomo, come solo le passioni vere sanno essere.

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La recensione Post-Krieg di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-04-11 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • krispie 11 anni fa Rispondi

    Un grande disco!

  • MONTAUK 11 anni fa Rispondi

    anzi...\m/
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  • MONTAUK 11 anni fa Rispondi

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