Universal Daughters Why hast Thou forsaken me? 2013 - Psichedelia, Alternativo, Pop rock

Disco della settimana Why hast Thou forsaken me? precedente precedente

La passione umana cantata da 13 star mondiali. Uno dei dischi dell'anno.

Se avete letto l’intervista uscita a suo tempo qui su Rockit, conoscete già la strana genesi di questo disco (beneficenza per la Città della Speranza, Fondazione che finanzia il centro di oncoematologia pediatrica di Padova) e di questo gruppo (Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, Maurizio Boldrin dei Mamuthones e Jean-Charles Carbone) con superospiti nazionali (tra gli altri, Alessandro “Asso” Stefana di Guano Padano e Vinicio Capossela, Luca e Alberto Ferrari dei Verdena, Alessio Gastaldello dei Mamuthones) e, soprattutto, internazionali (Jarvis Cocker dei Pulp, Gavin Friday dei Virgin Prunes, Chris Robinson dei Black Crowes, Lisa Germano, Stan Ridgway dei Wall of Voodoo, Mick Collins dei Dirtbombs, Baby Dee, Alan Vega dei Suicide, Steve Wynn dei Dream Syndicate, Mark Arm dei Mudhoney e Swamp Dogg). Sapete anche che il disco è composto solo di cover della tradizione anglo-americana, scelte nell’arco temporale che va dagli anni 20 al 1980, e che è un concept sull’“essere umano in quanto tale, con tutti i suoi risvolti” (Marco Fasolo dixit) e che la sua chiave sta nei testi delle canzoni, il vero motivo che ha portato alla scelta dei brani. Se è vero che si vuole offrire un ritratto delle passioni umane a tutto tondo (“amore, amicizia, odio, passione, tristezza, allegria, depressione, morte, vita, descritte nel modo stilizzato e succinto, ma potente, tipico della canzone”, ancora Fasolo), è indubitabile che l’esperienza realmente traumatica da cui è nata l’idea del disco, riflessa anche nel suo titolo (la frase di Cristo in croce: “Perché mi hai abbandonato?”), si fa sentire prepotentemente nell’album.

È un bene, diciamolo subito, per l’intensità e lo spessore che acquistano tanto le singole canzoni quanto il disegno generale dell’opera. Se la vita appare come segnata profondamente da dolore e fatica, tanto da essere cristianamente testimonianza del calvario di Cristo (significativa l’iniziale “I’m Born to Preach the Gospel” di Washington Phillips, superbamente interpretata da Chris Robinson) nel proprio piccolo, allora assai maggiori e incantevoli appariranno i momenti di felicità (“Cheree” dei Suicide, con un grande Mark Arm), per quanto si sia coscienti dell’inevitabile sfiorire di ogni bene e di ogni bellezza (“First of May” dei Bee Gees, che, sarà la voce di Jarvis Cocker, pare tratta proprio dal repertorio dei Pulp). Bellezza dinanzi alla quale ci capiterà di sentirci dei perfetti coglioni (“Kangaroo” dei Big Star, con un intensissimo Gavin Friday), che ci farà soffrire (“It's your Voodoo Working” di Charles Sheffield, con un bravo Mick Collins alla voce: “Heartache, misery, trouble and pain”), tanto da impazzire (“I Hear Voices” di Screaming Jay Hawkins, con un mefistofelico Alan Vega: “Most lovers are blind/the rest just lose their minds"). Perfino la canzone che sembra la più banalmente romantica del lotto, “Midnight, the Stars and You!” di Ray Noble and Al Bowlly (ottima Lisa Germano), allude ad altro, essendo nota a tutti perché fa da colonna sonora alla scena del ballo degli spettri in “Shining” di Stanley Kubrick.

Così il mondo non è tutto qui, quello che appare, come si chiede (e pare credere) il protagonista di “Is That All There Is?” e come chiariscono le inquietanti immagini di copertina e book del disco (a loro volta ispirati da una scena di “Profondo rosso”): sotto le apparenze si nascondono terribili demoni, pronti ad assalirci e farci soffrire (“the rest just lose their minds", ricordate?), trasformandoci in strumenti di sofferenza altrui, come testimonia l’inquietante “Psycho” di Eddie Noack, interpretata benissimo da Steve Wynn. Se la vita può sembrarci una prigionia e una condanna, come quella del pianista di “Hong Kong Blues” (bravissima Baby Dee) condannato a non poter rientrare in patria (il cielo?), se l’unico strumentale del disco (“For the Last Time We’ll Pray”) è tratto dalla colonna sonora dell’horror soprannaturale “Carrie” e pare chiudere il cerchio con “I’m Born to Preach the Gospel” (anche se tra predicare e pregare v’è una bella differenza). Data la trama del film, si comprende perché “Mother” di John Lennon (enormi Fasolo e i Verdena) chiuda il disco, proiezione, ma non più di tanto, delle angosce da cui è nato.

E la musica? I brani sono ovviamente tutti splendidi di per sé. Ma una produzione superficiale avrebbe potuto rovinare tutto. Invece il nucleo forte dell’iniziativa, Fasolo, Boldrin & Carbone, è riuscito nella non facile impresa di azzeccare perfettamente ospiti, interpreti e arrangiamenti. Il disco è ovviamente molto vario, riunendo brani che spaziano dal jazz al blues, al rock, al pop, nei loro vari sottogeneri, ma finisce per avere una compattezza di suono impressionante e perfettamente calzante al contenuto, sempre splendidamente suonato. Fuori da ogni moda del momento, eppure, o forse proprio per questo, sicuramente uno dei dischi dell’anno. Se non ve ne siete ancora accorti, fareste bene a darvi una svegliata e a cambiare idea.

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La recensione Why hast Thou forsaken me? di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-06-03 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • acazzi 11 anni fa Rispondi

    quoto: questo è un disco clamoroso. Alan Vega strepitoso.

  • DORIAH 11 anni fa Rispondi

    questo è un disco clamoroso, rimarrà nella storia. Alan Vega strepitoso.

  • rudefellows 11 anni fa Rispondi

    bello. le migliori secondo me quella con Mark Arm, quella di Steve Wynn e Swamp Dogg. Ma anche quella con Mick Collins è notevole