Riva Starr Hand in hand 2012 - Elettronica

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Un gentiluomo dello studio di registrazione, uno in grado di maneggiare stili e periodi differenti senza grandi concessioni alle mode. Un creatore di singoli estivi godibilissimi.

Per la (ex) nuova ondata di produttori house italiani che nel primo decennio di questo secolo ha ri-piazzato il nome del nostro paese nella mappa dell'elettronica globale sembra arrivato il momento di fare il punto della situazione. I Crookers hanno detto la loro con due album e poi sono arrivati alla rottura, in attesa che Phra ritorni con un altro episodio di "Dr. Gonzo"; i Bloody Beetroots rilanceranno con un secondo album che si annuncia importante per le partecipazioni, in parte dichiarate in parte no; Congorock lo aspettiamo al varco con i suoi incontri nelle terre giamaicane; intanto mettiamo le orecchie su questo secondo capitolo dell'avventura Riva Starr, un altro italiano che di strada ne ha fatta negli ultimi anni, e non solo metaforicamente.

Stefano Miele, questo il suo vero nome, ha dimostrato nel passato di sapersi muovere in territori sonori eterogenei, e questo album conferma la vena fusionista del nostro. Siamo insomma di fronte ad un vero e proprio catalogo della musica elettronica da ballo e da ascolto degli ultimi quindici anni, parte prodotta da Stefano, parte suonata da musicisti in carne ed ossa a lui affiancatisi: c'è la pop house colorata dei Basement Jaxx ("Absence"), c'è il big beat del quale Fatboy Slim fu cavallo di Troia (“Am I Not Alone”), c'è la lounge venata da chitarre floydiane come piacciono ai Ratatat ("Columbine Sept Heures"), ci sono le giuste schegge di piano house che sembra di sentire Moby quando ancora faceva vera musica ("Detox Blues", uno degli episodi più riusciti del disco), c'è l'house estiva e saltereccia che ha fatto la fortuna di Riva Starr a livello mainstream (la piacevolissime "Hand in Hand", "Nobody's fool", "Si è Spento il Sole" in 4/4 cicciotto). E ancora c'è la deep house alla Etienne De Crecy di "In The Morning", c'è il breakbeat rallentato alla Chemical Brothers di "Kill Me", ci sono le sonorità da tango elettronico di “No Man's Land" (con la bellissima ed azzeccatissima voce di Carmen Consoli) e quelle reggae di "The Care Song" e "We Got this thing".

Senza soffermarsi sui singoli contributi vocali, che fortunatamente spiccano per la capacità di entrare nell'atmosfera del singolo brano (roba mica da poco, visto che di solito i featuring sono utilizzati più come specchietto per l'acquisto), conviene insomma sottolineare le doti musicali di Riva Starr, un produttore vecchia maniera (tipo i Coldcut, per intendersi), un gentiluomo dello studio di registrazione, uno in grado di maneggiare stili e periodi differenti senza grandi concessioni alle mode (sempre come i Coldcut di cui sopra), un creatore di singoli estivi godibilissimi da bersi tutti d'un fiato per ammazzare il caldo che ci aspetterà questa estate.

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La recensione Hand in hand di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-06-24 00:00:00

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