King of the Opera Driftwood 2014 - Psichedelia, Progressive

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Disco derivativo, ma molto bello. Incantevole.

Nuova incarnazione di Alberto Mariotti alias Samuel Katarro, uno che la storia e la grammatica del rock le maneggia con disinvoltura e amore, i King of the Opera, composti anche dai soliti e fidatissimi Simone Vassallo e Wassilij Kropotkin, giungono al loro secondo lavoro dopo “Nothing Outstanding” e dimostrano di essere ben altro rispetto alla ragione sociale di partenza (Katarro): si concentrano sulla psichedelia ai confini del krautrock, come ribadisce la bella scelta di farsi co-produrre da Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut, che regala a questo “Driftwood” lo stesso ammaliante suono già ammirato nel incantevole “Ashram Equinox”, una delle migliori uscite italiane del 2013.

Poche ciance: “Driftwood” convince e si fa regalare numerosi riascolti dettati dal piacere e non dal dovere recensorio, anche se la sua derivatività è palese. Il modello di riferimento e di partenza è infatti costituito dai Pink Floyd di “The Dark Side of the Moon”: la prima parte delle della suite, “Colours and Lights” (titolo floydiano già di per sé) muove dalle stesse coordinate di “Us and Them” per farsi più ipnotica e allucinata; “I Remember Nothing”, seconda tranche, evoca nettissimamente “On the Run”, che nel disco più famoso dei Floyd è anche la traccia che evidenzia l’enorme influenza che sul gruppo di Cambridge hanno avuto i meravigliosi crucchi Tangerine Dream (band imprescindibile, prima del rincoglionimento new age); la finale “Counting Shadows” riporta alla mente tanto le atmosfere del citato “Ashram Equinox”, quanto di quel piccolo culto kraut (ben presente a un certo signor David Bowie) che furono gli Harmonia.

Costruita per raccontare la deriva fisica e spirituale di un naufrago, la suite possiede una cifra simbolica e astratta che determina le scelte musicali (che vogliono descrivere i vari momenti della narrazione), ma da cui si può anche prescindere. Cosa che auspico sempre, gioverebbe sposare musiche così incantevoli a testi più attuali. Ma, certo, poi ognuno deve fare quello che è nelle sue corde.

Disco molto bello per tutti, breve (venti minuti scarsi), obbligatorio per gli appasionati delle band citate. 

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La recensione Driftwood di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-03-29 00:00:00

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