Io?drama Non resta che perdersi 2014 - Rock

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Abbandoniamoci tutti all’irruenza brutale delle onde, nella speranza di nuovi salvifici orizzonti e albe più raggianti. Vada come vada.

Più che pessimismo cosmico leopardiano è una sorta di fiduciosa rassegnazione quella che anima il terzo album degli Io?Drama e che il titolo sembra sintetizzare alla perfezione. “Non resta che perdersi” nasce e si muove come un concept saturo di antagonismo bohémien e romantica autodeterminazione. Sì, insomma, il messaggio telegrafato dalle dodici tracce del nuovo lavoro del quartetto milanese sembra alla fine sintonizzarsi sul “piuttosto che farsi strangolare dalla spietatezza della quotidianità terrena è sempre meglio abbandonare la riva e consegnarsi all’irruenza brutale delle onde, nella speranza di nuovi salvifici orizzonti”. Nessuna audacia di fondo, nessun piratesco colpo di coda o coraggioso arrembaggio, dunque, quanto piuttosto l’enfatizzazione di quel “Se Dio vorrà” che profuma di vecchie generazioni perdute, perché, alla fine, chi ci dice che affidarsi al destino non sia davvero la migliore tecnica di sopravvivenza?

Da questo punto di vista è proprio la traccia d’apertura, “Babele”, a fungere da apripista lirico e musicale all’alt-rock fatalista e turbolento degli Io?Drama, con quella sua celebrazione del caos come conciliante via di fuga esistenziale. La title track (che fa un po’ il verso all’U2ica “Numb”) e “Il sasso e lo stivale” – affratellate dal comune cinismo e da un archetipico “non resta che perdersi” – rafforzano liricamente il concetto portante dell’album, mentre è il realismo disarmante di “Uno alla volta” – tra Ministri e Arcade Fire – a ricordarci l’ineluttabile potenza livellatrice (e sterminatrice) del tempo.
Se i grotteschi dissapori condominiali, su convulsioni rock, di “Vergani Marelli” fungono da escamotage per fotografare il menefreghismo imperante, la fluttuante carnalità su archi della splendida “Madreperla” e le trame pop radiofoniche di “Risveglio” alleggeriscono le tensioni umorali e ci riconciliano con la parte più buona del mondo, quella più istintiva.
Alla psichedelia cangiante di “Grooviera” (il picco pioneristico dell'intero progetto) e a quella inquieta e struggente di “Chiedilo alla cenere”, infine, l’onore e l’onere di dispensare criptica bellezza e sensibilità cantautoriale.

I molteplici significati del perdersi, dunque, trovano qua dentro non certo la loro più congeniale cornice filosofica quanto una meno nobile, ma più suggestiva, piattaforma musicale di deflagrazione; ciò grazie alle disturbanti manovre su violino di Vito Gatto, al lirismo visionario di Fabrizio Pollio e ad un rock impattante ed effettato che anela alla vita - nonostante tutto - nella speranza che un giorno sarà il cielo a piangere al posto nostro (giusto per citare di rinterzo la bella “Risveglio”).

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La recensione Non resta che perdersi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-06-03 00:00:00

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