Ruggine Iceberg 2014 - Hardcore

Disco della settimana Iceberg precedente precedente

A volte le cose semplici possono avere effetti disarmanti. I Ruggine ci consegnano un disco perfettamente a fuoco e potentissimo.

Penso che la cosa più importante di “Iceberg” sia il suono: dopo gli anni e la dovuta esperienza sono riusciti a semplificarlo tenendo solo quello che apparentemente chiameresti essenziale. Il precedente, “Estrazione matematica delle cellule”, era un intricato aggeggio fatto di stacchi, pause, acrobazie e tempi veloci; bello, ma sembrava più una dimostrazione virtuosistica e un po' vanesia di cosa erano in grado di fare. Ora si va dritti al punto: ci sono grandi giri ritmici capaci di sostenere da soli un brano intero pur incastrandosi, man mano, con altro. C'è un'idea lineare, una forma unitaria che spinge insieme tutti gli strumenti nonostante i tempi dispari. Ci sono due bassi che dialogano. Ci sono distorsioni che, questa volta, si sommano perfettamente tra loro. È tutto fuorché semplice: vuol dire avere una visione chiara e ben definita dei pezzi, avere una grande abilità nel scegliere le singole parti; non disperdere il tiro, mai. Momenti potentissimi tra Unsane e Refused (“Babel”, “Daphnia”), altri dove lo stoner diventa quadrato e marziale (“Caio”), cose più “leggere” alla Massimo Volume (“Pin up") altre vagamente Tool (“Pangea”). È un disco molto complesso ma i brani si muovono in un respiro solo. Penso sia un punto d'arrivo notevole.

Poi, voce e strumenti sono mixati a volumi uguali. Vuol dire che non tutte le parole le riesci a sentire chiaramente: sono frammenti di storie, non capisci subito verso chi si sta urlando, perché quella persona sta morendo e chi è quell'altra che è morta davvero e di cui stai leggendo l'ultima lettera. E poi tante domande rivolte con rabbia. Insomma, sono immagini confuse che viaggiano per chilometri nel buio. Non importa se i testi puzzano un po' di liceo, sono efficaci nel comunicare una lapidaria incertezza - che, senza volerla banalizzare, potrei riassumere come la paura di vedersi cresciuti, di morire, e di scontrarsi a testate col mondo pur di trovare un proprio posto al suo interno – un'enorme, gigantesca, inquietudine camuffata in un epico slancio dritto verso il campo di battaglia. L'immagine dell'iceberg è bella: speri di congelare tutto te stesso pur sapendo che qualche faglia potrebbe staccarsi, o che potresti diventare pericoloso per gli altri. La foto di quei binari piegati dal Tanaro quando nel 94 straripò e capovolse il Piemonte, be', quella è notevole.

“Iceberg” è un disco potentissimo, perfettamente a fuoco, scritto da persone che dopo 13 anni insieme hanno finalmente iniziato a riconoscere un proprio stile fino ad esserne orgogliosi, senza il bisogno di aggiungere altro; a volte l'esser genuini ha effetti disarmanti. Penso sia un ottimo punto da cui ripartire.

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La recensione Iceberg di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-12-22 10:00:00

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