Velvet Score Danmark.sept.'02 2003 - Rock, Indie, Alternativo

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Quattro canzoni sono un bagaglio limitato per dire con sicurezza che ciò che ascolti ti continuerà a piacere anche nei giorni che verranno, troppo poche per ritagliargli intorno un futuro che ti comprenda. Non si può giurare fedeltà eterna alla compagnia di una sera, si può solo descrivere le sfumature di quel momento, la consistenza di ciò a cui si è voluto cedere nel breve attimo, ed è quello che cercherò di fare. Ritorno al numero posto a principio e avanzo.

Quattro sono questi ragazzi toscani e quattro gli anni di vita del loro gruppo.

Fine delle coincidenze numeriche.

Potrei forzare le cose ed elencare i primi quattro nomi che ho trovato nelle loro melodie: Sonic Youth, Mogwai, Marlene Kuntz e Cure, ma sarebbe pleonastico eppur manchevole.

La prima canzone è una musica espansa, come dilatato è il titolo che si è scelto per identificarla, che non lascia spazio alle parole, fatta di rumori lisci e leggeri e imperfezioni progettate.

Le manipolazioni che la riempiono ricordano le sperimentazioni sonore a cui ha aperto la strada Brian Eno; in sei minuti, estesi e abbandonati, creano, fotografano e incorniciano posti celesti e luminosi. La parola arriva già al numero due. Scelgono l’inglese.

Sono sempre riluttante nei confronti dell’uso di una lingua che non sia la propria, perché il risultato è, quasi inevitabilmente, un italiano, nell’inflessione, negli accenti e nel coinvolgimento, che rinuncia alla propria intensità per una maschera che non sa indossare con disinvoltura.

Quasi inevitabilmente, appunto.

Il loro inglese, imperfetto, visto da qui, riposa bene sul loro suono, se ne fa avvolgere senza insistenza. C’è qualche difetto: la voce spesso annega nelle note e manca quel qualcosa che può avere un nome solo dopo che lo si è trovato e che li renderebbe unici proprietari di quello che fanno, ma mi piacciono.

Mi piace il modo elegante di sfiorare le chitarre, mi piace come a loro diano il compito di costruire un impalcatura che riesca a reggere tutto il brano e mi piace la morbidezza che sembra avvolgere anche i suoni irregolari.

Forse io cambierò idea. Forse la cambieranno loro. Ora ci sono queste parole.

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La recensione Danmark.sept.'02 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-09-28 00:00:00

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