Kay Alis Hidden 2016 - Trip-Hop, Industrial, Elettronica

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L'importante è scorrazzare nella trasversalità più accattivante

Una pseudo Patsy Kensit (emulata dalla brava Alessandra Rossi) ingabbiata dentro una matassa di gelidi beat novantiani (l’opener “This time”) mette le cose in chiaro fin da subito: ai Kay Alis piace crogiolarsi nostalgicamente dentro l’elettronica più scenografica degli ultimi 40 anni. Concettuale o radiofonica che sia poco importa, l’importante è scorrazzare – con innegabile mestiere e filologica sensibilità – nella trasversalità più accattivante, per non annoiare e per non annoiarsi.

Tra patinato revival, ricercato divertissement e certosina cura dei dettagli la band ternana saltella – come da una pozzanghera all’altra – dalle magnetiche pulsazioni bristoliane di “The reason why” e “Taste away” alle fregole ethereal wave di “514” e “Upside down”, dal synthpop caleidoscopico à-la Ladytron (forse l’influenza più ingombrante del lotto) di “Understanding” e “Anidroid” a quello più danzereccio in stile Visage di “I don’t know” (brano dal groove irresistibile curiosamente collocato in chiusura disco). E poi ancora, fugaci riferimenti alla Kosmische Musik così come filtrata da un Mike Oldfield qualsiasi (“Epinephrine”) e una subdola tentazione di battezzare ex novo una Italo Disco 3.0 a colpi di cupa electro nordeuropea (la già citata “This time”).

A fine giro di giostra rimane il buon sapore sintetico di un’esterofilia piaciona che si fa largo a colpi di transistor ma che tuttavia lascia aperto il campo ad auspicabili personalizzazioni future.

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La recensione Hidden di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-06-07 09:55:00

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