Jambox Spleen 2016 - Psichedelia, Grunge, Shoegaze

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Sul cielo di Torino tuoni e lampi shoegaze

Delle campane a un tratto esplodono con furia
Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
Che si mettano a gemere in maniera ostinata

Così scrive Charles Baudelaire in "Spleen", una delle poesie più famose del suo celebre e citatissimo "I Fiori del Male". Logico che se una band formata da studenti liceali decide di intitolare l'album d'esordio "Spleen" un piccolo/grande riferimento al poeta francese lo deve pur tributare. Eppure i riferimenti, le reverenze verso i modelli e lo spirito da nati dopo inizia e finisce immediatamente in questo dato. Infatti i Jambox da Torino sono una band già solidissima e riconoscibile nel mare magnum di spiriti erranti, epigoni e copioni vari di cui, ahinoi, la musica italiana è costellata. "Waikiki 513", la seconda traccia di "Spleen", è una magnifica cavalcata nelle spire dello shoegaze, dove emergono qua e là delle derive psichedeliche che forse i torinesi non esplorano fino in fondo, dando però così la possibilità di future e nuove escavazioni nel profondo. 

Nicolò Cocito, Enrico Lissiotto e Leonardo Valenti riescono quindi a mettere in piedi un perfetto congegno ad orologeria musicale, programmato per esplodere più o meno a metà di ogni pezzo. Ad esempio la terza traccia, "From My Window" (titolo molto tardo-adolescenziale, avrebbe detto Enrico Brizzi) parte quasi svogliata, con una voce un po' sbiascicata e dai contorni incerti per poi, letteralmente, deflagrare intorno al minuto 2.30.

Quello che impressiona, per l'esordio di questi poco più che diciottenni, è l'assoluta perizia nel ciò che si persegue e nell'aver proposto un album robusto e solido. Invece di cavalcare l'hype attraverso più o meno subdoli mezzi da social media marketing, i nostri imbracciano i loro strumenti, si chiudono nelle sale prove più sudicie di Torino e suonano, facendo vibrare le pareti insonorizzate con tutta la rabbia, l'ingenuità e il coraggio di chi ha ancora, come da tradizione, tutta la vita davanti. Una vita, ne siamo certi, già indirizzata sotto il segno dello shoegaze: senza dimenticare che, come in "Fruit Salad", in questo percorso si può anche ballare. E siamo pure sicuri che Baudelaire, da qualche parte negli inferi, lo stia già facendo. 

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La recensione Spleen di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-04-25 10:00:00

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