Ulan Bator Stereolith 2017 - Sperimentale

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Fuoco, fiamme e cenere per gli Ulan Bator in questo loro "Stereolith"

Se uno intitola la prima canzone del proprio album "On fire" di certo non ha voglia di nascondersi. In questo senso "Stereolith" degli Ulan Bator è una specie di manifesto programmatico del non volersi celare, anzi. La band francese dal 1993 ha fatto di questo mantra una vera e propria bandiera e, d'altro canto, non si capisce come potesse essere altrimenti con un frontman quale Amaury Cambuzat, mente sempre fervida e creativa quando si tratta di creare universi sonici profondissimi e vagamente inquietanti. Ecco perciò che "Stereolith" si inserisce in questa direzione: la title-track è una cavalcata attraverso quasi 25 anni di carriera per la band, con quel suono kraut e le sperimentazioni che da sempre la caratterizzano. Ed è una meraviglia della natura sentire come ogni suono, ogni riff e ogni rimando si inseriscano perfettamente in un disegno più grande: non soltanto quello dell'album ma anche e soprattutto, come abbiamo sostenuto poco sopra, quello dell'intera carriera del gruppo francese.

La quinta canzone, "Ego Trip", non fa altro che alzare l'asticella ancora più in alto. Con un inizio quasi sintetico, il pezzo è una sorta di peregrinazione addentro l'animo e la mente di Cambuzat, il quale si mette quasi a dialogare con l'ascoltare, in un monologo dal grande impatto emotivo. Ma la qualità rimane altissima anche in pezzi come " NeuNeu" e "No Book", per poi esplodere letteralmente nel terzetto conclusivo.

"Icarus", "Lost" e "Dust" (quasi una sorta di tragedia antica in tre atti) sono tre pezzi tre che da soli basterebbero a definire alla grande la carriera di tantissime band in circolazione. Un tris di canzone in cui tutte le influenze del gruppo emergono e si agglutinano con eleganza e in maniera precisa, con atmosfere cupe e gravose, che lasciano l'ascoltatore attaccato alla propria poltrona, impossibilitato a muovere anche un solo muscolo, che non sia, ovviamente, quello del proprio cuore. E l'intro di "Dust" fa letteralmente rizzare i peli delle braccia per l'assoluta possanza interpretativa. 

Dopo qualche periodo di inattività, tornati lo scorso anno con "Abracadabra" (da noi recensito qui), Cambuzat e soci hanno definito riconquistato (caso mai l'avessero ceduto per un determinato tempo) lo scettro dello sperimentalismo in musica, (ri)guadagnandosi sul campo i galloni di gruppo-guida in questo senso. Noi non vediamo l'ora di sentirli dal vivo, per scoprire fino a che punto Icaro si possa spingere vicino al sole, prima che si perda, prima che diventi polvere. 

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La recensione Stereolith di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-03-20 09:00:00

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