Coez Faccio un casino 2017 - Pop

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Dalla rabbia e frustrazione del primo disco Coez, completamente libero da ogni etichetta, ha costruito una corazza che come un charango risuona oltre se stessa

Per il rap italiano, negli anni Coez è stato: un ottimo rapper, un ritornellaro provetto e uno sperimentatore, a suo modo, della forma canzone. Tra i suoi meriti c'è sicuramente quello d'aver sempre cercato una certa freschezza: mentre tutti decidevano di fare il rap, intorno al 2012 Coez già sapeva che era giunta l'ora di provare qualcosa di più: il cantato. Insomma, Coez non ha mai cercato una definizione unica per la musica, ed è proprio questa ambiguità a nutrire quest'ulitmo "Faccio un casino" che, a cinque anni da quel rischio che fu "Non erano fiori", sempre si alterna tra un morbidissimo rap e un cantato piacevolissimo, migliorato di molto rispetto ai lavori precedenti.

Il disco si apre con una citazione a "Fenomeno", mixtape rilasciato intorno al 2011 in cui venivano lanciate strofe su brani degli XX, Pusha T, Ratatat e la prima cosa che sentiamo dire è, neanche a farlo apposta, "ho un piccolo disturbo bipolare, niente di grave": sarà una delle frasi cardine dell'intero progetto.
È vero che troviamo subito brani lenti e romantici come "Ciao" e "Faccio un casino", sensuali come "Parquet" (che si ispira probabilmente al miglior D'Angelo, anche se quel clap lì ci sarebbe piaciuto fosse stato più caldo e rotondo di così, un peccato) e pieni d'amore e gratitudine per la propria madre come "E yo mama", forse il brano più sentito del disco. È anche vero che ci sono richiami al rap più attuale con un sound da Run The Jewelz, citati dallo stesso Gemitaiz; nonostante i bassi risultino tutto sommato un po' troppo educati rispetto alla ben più scatenata controparte d'oltreoceano, "Occhiali scuri" è indubbiamente tra i momenti più rap del disco assieme a "Un sorso d'ipa". Una maturità che ben avvia il disco verso la sua conclusione.
Un equilibrio del tutto naturale, credibile, a lungo ricercato, si raggiunge in "Ciao", traccia tra le migliori in assoluto. Finalmente questa cosa del fare le rime torna a farsi sentire e acquista un suo senso tutto nuovo, maturo, grazie al riuscitissimo arrangiamento del brano, alla delivery azzeccatissima e alla scrittura senza sbavature, affatto autocompiaciuta (come spesso capita invece in brani del genere). 

Se "Non erano fiori" era l'hangover della mattina dopo e "Niente che non va" rappresentava il momento in cui si cresce, si abbraccia la propria dimensione di uomo solo con l'armadillo sulla schiena (non la scimmia di Burroughs ma l'armadillo, animale dal cui guscio si ottiene il charango, strumento che suona e fa sopravvivere il suono oltre se stesso, simbolo di resistenza pura), questo "Faccio un casino" sembra essere la chiusura di un cerchio: c'è il rap, c'è il cantato, ci sono gli amici di una vita e uno skit di Danno, praticamente una consacrazione per un qualsiasi romano.
L'amore è il vero protagonista dell'opera non solo perché leit-motiv di praticamente ogni brano ma perché è questo tanto citato amore che comanda alcune scelte: Coez ha voluto con sé alcuni tra i suoi amici più intimi, ha lasciato che Danno lo prendesse un po' in giro, ha scritto un brano dedicato alla madre e ha chiuso il disco con un congedo particolare per i fan, un saluto che suona come una dedica, un arrivederci, un tentativo di far capire come e perché abbia scritto così tanto.
Questo "Faccio un casino" è allora definitivamente il disco dell'armadillo, dell'interiorità così tanto coltivata, della musica di charango ottenuta dopo tanto duro lavoro da questa corazza che erano la rabbia e la frustrazione di quel primo "Figlio di nessuno". Coez è diventato davvero consapevole dei suoi mezzi, firmando così un disco a cui è difficile dare un'etichetta precisa: c'è del pop, c'è del rap, c'è soprattutto tanta tanta qualità.

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La recensione Faccio un casino di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-05-02 09:00:00

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