My Dear Killer The Cold Plan 2018 - Cantautoriale, Lo-Fi, Slow-core

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Alt-folk decadente commisto a stranianti suggestioni ambientali come livido commento sonoro alla polverizzazione delle contemporanee relazioni sociali

Il buon Stefano Santabarbara se l’è presa piuttosto comoda nell’assicurare un degnissimo seguito a "The Electric Dragon Of Venus" considerati i cinque lunghi anni di gestazione per partorire un disco come “The Cold Plan” che, in termini di spleen, predisponesse, appunto, un cordone ombelicale col suo predecessore ma che al contempo ne sviluppasse al meglio le collaudate soluzioni compositive su ben più stranianti registri ambientali.
Il songwriting del musicista lombardo, dunque, continua, sì, ad assecondare il suo originario imprinting folk-acustico (devoto a Nick Drake, Tim Buckley e Bert Jansch) ma il relativo contraltare atmosferico viene a questo giro parzialmente depurato della componente rumoristica delle chitarre – palesemente meno disturbanti di un tempo ma non meno efficaci quanto a carica tensiva – a vantaggio di un’effettistica visionaria generata da sample, riverberi, manipolazioni elettroniche e funzionali field recording (su tutte “The Thief” e “Skinburness Pt.1").

Anche grazie al fattivo contributo del sodale Stefano De Ponti (chitarra elettrica, contrabbasso, synth) My Dear Killer confeziona un piccolo capolavoro di alt-folk decadente – alle porte del post rock – a tratti volutamente agonizzante (“Daffodils”, “The Answer”), ma provvidenzialmente defibrillato da suggestioni ambientali che si rinnovano di volta in volta come il fegato di prometeica memoria, fino a consegnarci un disperato affresco intimista dove è l’interpretazione schizofrenica e claudicante dello stesso Santabarbara a fungere da reale baricentro umorale insieme agli arpeggi acustici della 6 corde.
All’interno di un quadro generale di desolazione diffusa (“Your Favorite Bar”, “The Winter’s Bride”) si consuma così una sorta di livido commento sonoro alla polverizzazione delle contemporanee relazioni sociali – fino al più annichilente isolamento individuale – volutamente deprivato di rassicuranti punti luce, eccezion fatta per la scarnificata bellezza, velatamente bowiana, di quella “I Am A Part Of This Machinery” che ci riconcilia col mondo in uno spasmo di disillusione generazionale.

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La recensione The Cold Plan di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-05-02 09:00:00

COMMENTI (1)

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  • apash 6 anni fa Rispondi

    bravo Ste