Psicologi 2001 2019 - Pop, Pop punk, Trap

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Non è più solo la trap del "ti sbatto in faccia il mondo di droga e puttane che mi hai regalato, babbo". È finalmente la trap di: "il problema dei ragazzi non è la droga", è essere amati. Stop.

Gli Psicologi non sono immuni al mondo. Non sono la pura e secca voce di due adolescenti senza nulla alle spalle. Non aspettatevi Greta Thunberg. Sono una band. Qualcuno li ha notati, e ha fatto 1+1 per spingerli. Sanno scrivere benissimo, ma la frase con cui spesso vengono proposti, "2001 nuovi sessantottini", è un motto, uno slogan, e c'è da vendere per far crescere sempre di più progetti di musica pop come questi. Tuttavia. Tuttavia stanno dicendo quello che davvero vogliono dire. E potremmo chiudere qui la recensione, perché già questa compresenza di pop e autenticità vale tutto. Per primi in questa scena stanno sottolineando gli stramaledetti contenuti, e non giudicando la situazione "da fuori", come fa gran parte degli artisti che si inerpicano in tentativi di impegno; loro ci sono proprio dentro fin sopra la testa a tutta sta roba che nella società c'è un errore da qualche parte. Se lo dicesse chiunque altro ci farebbe un po' ridere, nel 2019, ma se a dirlo sono dei ragazzini (proprio come Greta Thunberg, guarda caso) tutti si fermano a chiedersi "aspè ma a questo chi gliele ha messe in testa ste cose?" - la realtà gliele ha messe in testa, la realtà e l'impatto con le ridicole chiavi di lettura che gli sono state consegnate.

Non è più solo la trap del "ti sbatto in faccia il mondo di droga e puttane che mi hai regalato, babbo". È finalmente la trap di: "il problema dei ragazzi non è la droga", è essere amati. Stop.

Non mancano i cliché, non mancano le frasi fatte un po' instagrammabili, ma è proprio questo che rende il loro linguaggio perfetto per il proprio scopo. È come se all'improvviso una generazione venuta su a citazioni di tre righe nelle caption pretendesse di andare al sodo, di vedere che senso c'è sotto a quelle parole, e, scontrandosi con il vuoto, ci si buttasse a capofitto, come a inventarselo un senso. Non basta e non basterà mai. Eppure loro sono un po' così, crepuscolari: un Sergio Corazzini che alla loro stessa età scriveva poesie in cui inevitabilmente prendeva la posa del poeta romantico, roba piena di cliché, ma che vuoi dire a un diciannovenne malato di tisi? Era molto più sincero lui di Gozzano, nordico, colto e più bravo, che pure dribblava i cliché. "Non ti aspettare che ti porti una rosa / ti porto il mio cuore a metà ed il mio sangue che cola". Corazzini? No, Psicologi.

Dopo i Crepuscolari la Guerra Mondiale, dopo gli Psicologi? Boh. Non direi manco sia un caso che le basi di questi qui suonino un po' tipo pop-punk. Quale suono è più adatto a raccontare il crepuscolo di una civiltà se non proprio quello che fino a poco fa era il veicolo del fuoco, della protesta, le chitarre, il basso, l'emo, la batteria. Sì però tutto cucinato in plugin VST effetto audiocassetta.

Insomma gli Psicologi stanno facendo un mischiotto (curioso ma anche molto naturale) di rabbia, coscienza, emo-rap, punk rock, occupazioni, affetti adolescenziali, sinistra post-radical-chic, velleità da social network... ma cazzo ciò che conta qui è che stanno vivendo qualcosa sul serio. Sono tra i primi, e non vorrei dirlo ma temo anche gli ultimi, che si prendano oggi la responsabilità di dire "noi": e non "noi quatrro stronzi che stiamo in giro fino a tardi e ci svegliamo la mattina in sbornia", qui c'è un "noi cresciuti nel post-tutto, figli dei figli di chi ha voluto uccidere i padri". E basta avere un fratello minore per accorgersene. Che 'sta roba dei Fridays for Future è molto più di un meme. Che nelle scuole stanno tornando i collettivi, che ci sono ancora pischelli che si dichiarano di estrema destra, e altri pischelli che gli danno contro spesso senza capirli, e altri ancora che manco hanno diciotto anni ma si incontrano per parlare delle europee.

Che c'è gente che implora alle ideologie di tornare perché altrimenti non sa dove altro sbattere la testa, e altra gente che semplicemente coglie l'occasione per avere una mai troppo prematura coscienza che vivere è questione di vivere, e che occorre vivere anche per provare a spiegarsi la vita. In questo senso "2001 nuovi sessantottini" è molto più di un motto. È un errore. Questa generazione può arrivare molto più lontano del '68. 

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La recensione 2001 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-05-31 12:33:00

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