Paolo Benvegnù Dell'odio dell'innocenza 2020 - Cantautoriale

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Odio, innocenza. Due rette parallele che si incontrano grazie a Paolo Benvegnù.

Odio, innocenza. Due rette parallele, che, per definizione, non dovrebbero mai incontrarsi, come geometria euclidea impone. Però, a volte, le rette viaggiano così vicine da potersi abbracciare, dando l’illusione di riuscire a guardarsi, di condividere uno spazio fisico ed emotivo, se non razionale. Odio e innocenza, potessero ammirarsi di fronte a uno specchio, scoprirebbero di essere le facce di una stessa medaglia. Da appendere al petto, da sfoggiare con orgoglio.

Paolo Benvegnù canta di odio e innocenza con cinismo e ferocia. “Noi due da soli, chiudiamo il mondo fuori, ma qui non si riesce a pensare, e noi non riusciamo a sentire tutto il bene e tutto il male”. Forse, la poetica di “Dell’odio, dell’innocenza”, l’ultima fatica discografica del cantautore milanese, è tutta qui, riassunta in poche parole, quelle contenute in “Infinito, pt. 2”. Fateci caso: c’è una certa assonanza, una sorta di parallelo con “Songs of Innocence and of Experience”, la raccolta di poesie di William Blake. E non solo nel titolo. I versi del poeta visionario inglese inciampano in un’alternarsi tra leggerezze e disillusioni, sono imbevuti di ottimismo e cupezza. Che è un po’ la strada percorsa, al netto delle dovute proporzioni, dall’ex Scisma.

“Siete carne da cannone di una nuova, rivoltante evoluzione”, recita “Infinito”, “Più capisco gli umani, più capisco le pietre”, sentenzia “Pietre”, mentre ci si imbatte in prigioni di denaro e di carne, in miserie infinite o in ripugnanti rivoluzioni. Cinismo, ferocia. Affiancate a un intimismo assoluto, a una dolcezza a tratti straripante: “La vita è oscena, è un’astrazione, mentre la luna è meravigliosa (“La soluzione”).

Paolo Benvegnù esce dalla cosiddetta trilogia della lettera “H” (“Hermann”, “Earth Hotel”, “H3+”), con un’opera forse un po’ più accessibile, più essenziale. Il suono che accompagna le undici canzoni dell’album è dinamico, anche se, a tratti, intriso di malinconia. Si sentono gli echi dei Radiohead pre sbornia elettronica, si sentono le chitarre aggressive, la dolcezza degli arpeggi acustici, l’onirismo un po’ sghembo e psichedelico di “Infinito, pt. 3”  i caldi abbracci del computer, la concretezza della sezione ritmica, tra atmosfere mutevoli, caotiche (“Nelle stelle”), rarefatte (“Non torniamo più”). Inevitabile il raffronto con gli Scisma, con un certo indie rock di inizio secolo (in particolare con i PGR, canto ieratico di Giovanni Lindo Ferretti a parte), nonostante gli anni ’70 evocati all’interno della già citata “Infinito” (“Cantami o diva [di] musica ribelle, [dell’] orrendo paradiso di voi figli delle stelle”).

La solita, immensa bellezza che Paolo Benvegnù e la sua arte riescono a gestire, a donare, distribuita a piene mani tra i solchi di un disco nato in un modo anomalo e quantomeno strano. Queste canzoni, raccolte in un cd, sarebbero state trovate dallo stesso musicista impacchettati in una busta anonima, indirizzata a una scuola di musica in provincia di Perugia: lui non avrebbe fatto altro che arrangiarle, appropriarsene e restituirle a nuova vita. Dobbiamo credergli? Certo che no.     

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La recensione Dell'odio dell'innocenza di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-03-22 20:42:00

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