Jesse the Faccio VERDE 2020 -

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Più che Mac DeMarco, oserei dire, il Daniel Johnston dello stivale.

L’attitudine compassata, gli occhiali legati al volto con un filo arzigogolato che passa dietro la nuca sotto un berretto da Pierino, la camminata flemmatica col collo protratto in avanti che ricorda quella Shaggy, l’amico fattone di Scooby Doo. Vedere Jesse The Faccio in concerto è un po’ come assistere a una partita di Joseph Ilicic su un campo da calcio: sembrano quasi passati di lì per caso.

Per poi riservarci grandi sorprese.

Verde è il secondo album ufficiale del musicista padovano che si nasconde dietro un nome solista, ma agisce all’unisono con i ragazzi che lo circondano come una vera e propria band. Assurdo come, ai giorni nostri, Mac Demarco sia diventato uno dei termini di paragone più diffusi sulla scena tricolore, forse in merito a questa inarrestabile ripresa degli stilemi anni 80. Con Jesse, siamo probabilmente al cospetto del capostipite degli imitatori del songwriter canadese. Jesse DeMarco.

Certo, le analogie sono evidenti, specialmente nei brani più malinconi\romatici (basti citare 2011 e Caviglie) ma la realtà che Verde va a una velocità diversa, un ritmo che Mac (probabilmente per colpa dell’eccessivo abuso di sigarette) non saprebbe sostenere. Ciò che accumuna i due autori è l’impostazione scanzonata, l’aria strampalata con la quale si appropinquano alla composizione. Il risultato è stralunato ma terribilmente sincero, l’attitudine shoegaze tramutata in simpatico imbarazzo. Le canzoni ci conquistano dalla prima all’ultima grazie al procedere in levare di chitarre marcatamente anni 90, l’impressione che se ne ricava è quella di un cantante itpop accompagnato dai Pavement.

Jesse The Faccio ha attuato un’operazione ai limiti dell’impossibile (considerando la sacralità della canzone d’autore) applicando un sound lo-fi, ma sicuramente ricercato, all’impostazione cantautoriale italiana. Quasi un Colombre in versione punk. Verde non è un disco rivoluzionario rispetto al precedente (e già ottimo) I soldi per New York quanto il suo proseguimento ideale, la prova del 9 stilistica per un artista che (se ne voglia o meno) ha pochi eguali nel nostro panorama.

Più che Mac DeMarco, oserei dire, il Daniel Johnston dello stivale.

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La recensione VERDE di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-03-13 17:00:00

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