cirri urrà 2020 - Cantautoriale, Rock, Pop

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Indie pop a go-go per i Cirri e la loro complicata semplicità.

I Cirri sono al loro secondo album. Dopo “Vladimir Korea”, uscito due anni or sono, ecco arrivare “Urrà”. E il suono della band milanese prova a definirsi. Cercando quel po’ di spazio rimasto all’interno di un indie-pop vellutato ma non accomodante, aggraziato ma malleabile. Prendiamo “Ladylight”: parte tutto da qui, da una morbidezza acclarata e fiera, da un impasto tra acustico ed elettronico decisamente azzeccato e gradevole. Un brano piacione, che fa il paio con la successiva “Dede”. Delicatezze che poi si riaffacciano qua e là, come fossero una costante con la quale dover fare i conti. Ma c’è anche dell’altro. Leggasi il computer nudo e crudo di “Abbraccio”, i chiaroscuri di “300”, l’obliquità di “Maya” e di “Wya” con i loro raffinati pattern elettronici. E poi la romantica oscurità di “Estate”, il minimalismo pressoché scheletrico di “G”, la voglia di sperimentare e di sparigliare le carte nella conclusiva “Calore”.

“Urrà” è un album che si lascia apprezzare per la sua complicata semplicità. A mancare all’appello è una canzone davvero decisiva (magari arriverà più in là, diamo tempo al tempo…) e, forse, qualche accenno di cattiveria in più non avrebbe guastato. E se queste undici tracce, comunicato stampa dixit, “rappresentano un sentiero nel bosco che (…) incrocia altre vie”, è rassicurante sapere che con la musica dei Cirri è difficile perdersi. Anche se, a volte, non ritrovare la via di casa risulta può risultare più gratificante. Ma è solo una questione di istinto.

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La recensione urrà di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-02-02 19:52:00

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