Verdena Volevo magia 2022 - Rock

Primascelta! Volevo magia precedente precedente

Il settimo album del trio bergamasco ricerca la libertà di fare quello che vuole, che si dimena tra hard rock, pop raffinato, kraut e Battisti. Un bellissimo modo di giocare con la musica, senza però riuscire a conquistare del tutto

Dopo aver ascoltato un po’ di volte l’album Volevo magia dei Verdena mi è venuto da ridere pensando al mio ruolo di recensore, spesso simile al re censore delle idee altrui, che volano libere e non nascono per essere giudicate, piuttosto per esigenza personale. Qui si parla di una band che non rispetta le regole del mercato perché, a parte durante gli esordi in giovane età e le apparizioni tv ad essi correlate con l’etichetta bastarda di Nirvana italiani che hanno messo un sacco a scrollarsi di dosso, si sono sempre fatti i fatti propri a un livello viscerale, suonando album dopo album - e siamo al settimo, dopo sette anni di attesa dal precedente doppio Endkadenz - cosa e come vogliono, senza star dietro a una coerenza stilistica che non sia quella di non averne affatto, per poter essere liberi. Volevo magia sembra proprio ricercare quella libertà e quella mancanza di pressioni di cui una band che suona insieme dal 1995 potrebbe aver bisogno. Come canta Alberto Ferrari in Chaise Longue: “Staremo insieme, e liberi dalle agonie”, all’interno di un onirico viaggio americano.

Sono quindi di due cuori quando penso che Volevo magia sia un album al di sotto delle aspettative. Sette anni sono un’era geologica per scrivere, provare, arrangiare e registrare canzoni, in un tempo in cui è cambiato il mondo, sono scoppiate pandemie, guerre, è scoppiato il clima. I Verdena rimangono appiccicati a sé stessi, al loro mondo che sembra aver poco a che fare con quello che esiste per tutti, all’esterno. Non avrei mai pensato di citare i Tiromancino parlando del trio bergamasco, eppure ascoltando Certi magazine il riferimento è quello. Un pop articolato quanto vuoi, ma pur sempre di quello stampo. Fa strano sentirci sopra la batteria che pesta di Luca Ferrari, più a suo agio in pezzi come Crystal Ball o Pascolare, hard rock piuttosto minimale che sa di doom o stoner. In un pezzo come Dialobik si sente tutta la sperimentazione e la voglia di fare qualcosa di nuovo, tra il kraut e il post rock, tra stratificazioni e passaggi psichedelici. La title-track sembra un divertissement punk grunge dei Nirvana di In Utero che sposano i Germs, anche Paladini vive di certi momenti hard blues alla Jon Spencer o alla Queens of the Stone Age.  Tutte influenze che ci possiamo aspettare dai Verdena, niente di veramente nuovo, che però picchia duro e suona bene. Paul e Linda è un pezzo fin troppo standardizzato per essere preso sul serio. Divertente però.

Poi ci sono i pezzi atipici o comunque un po’ meno orientati sulla musica distorta americana: il primo singolo Chaise Longue che sa di Battisti e anche un po’ di Iosonouncane, tutto però un po’ incompiuto, la ballata Sui ghiacciai che ha sempre una lontana eco battistiana, che gioca con l’elettronica e il pop mantenendo sempre la batteria pestano in primo piano, con la voce molto presente di cui addirittura si capisce bene il testo. Cielo super acceso è uno dei pezzi migliori dell’album, malinconico quanto basta con basso e batteria che vanno a duemila sopra la chitarra lenta. Un singolo molto “commerciale”, con le duecentomila virgolette del caso, pensando a ciò che siamo abituati a sentire dalla band, compiuto e riuscito. Cosa che non possiamo dire fino in fondo di X sempre assente, mid tempo cadenzata non indimenticabile. Sino a notte ridà forza al disco con le sue sferzate elettriche, Nei rami lo spegne di nuovo in una canzone eterea e aperta, dinamica, strutturata, che potrebbe anche commuovere ma non ci riesce fino in fondo.

Quanto contano sette anni d’attesa per un disco? Contano esattamente sette anni, e sembra di aver ripreso i Verdena dove li avevamo lasciati. Non è per forza un difetto, ma stavolta non è nemmeno la marcia in più di un disco suonato bene, prodotto bene, che ha bisogno di un sacco di ascolti per entrare in circolo e che ad oggi sembra incompiuto. Brutto no, attenzione, ci sono alcune canzoni molto interessanti ma non capisco la direzione, l’intenzione, la spinta verso l’esterno. Sembra più il disco di una band che non ha più niente da dimostrare e gioca con la musica. Lo fa benissimo, ma per una volta non è un disco indimenticabile. Dal vivo sarà una bomba come al solito e tutti contenti.

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La recensione Volevo magia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2022-09-23 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • Avversario 2 anni fa Rispondi

    A me prende bene.

  • alessio.pekisch 2 anni fa Rispondi

    E lo so.
    Ci avevano abituato a dischi monumentali ed era quindi lecito aspettarsene un altro.
    Ma comporre musica con un simile obiettivo non ha davvero senso, meglio è ostinarsi a ricercare la bellezza in modo sincero, libero da qualsiasi condizionamento.
    Volevo Magia non ha l’ambizione di essere un monumento ma, a mio avviso, è un disco davvero bellissimo. Ha dentro una raffinatezza che è davvero difficile ritrovare in altri artisti dalla carriera così longeva.
    Fa meno clamore dei suoi predecessori, non porterà la critica a gridare al miracolo ma qualcosa mi dice che la sua aurea avrà una vita lunga, seminale per tanta altra musica che arriverà.

    Ah, un piccolo dettaglio su quanto possa essere stramba la percezione soggettiva delle cose:
    “X sempre assente” è uno dei miei brani preferiti, un’opera viva e pulsante, con spire di luce che avvolgono e non mollano più, si fanno ossessione salvifica di un magnifico giro di basso e disperazione emozionante di un cantato che non è mai stato così bello.