Litfiba - da Il Mucchio Selvaggio n.58, 01-11-1982

RUBRICA MODERNARIATO

Reduci dall'affermazione nel 2° Festival Rock Italiano che ha fruttato una pubblicità e una considerazione certamente da non sottovalutare (oltre ai premi più tangibili in palio per il gruppo vincitore), i fiorentini Litfiba hanno voluto saggaire la risposta del pubblico alla loro musica con una serie di concerti promozionali in varie città d'Italia. Dopo una tournée nel Sud (assieme ai romani Frenetics) ricca di consensi e soddisfazioni, il quintetto si è dovuto confrontare con l'ostica audience capitolina nella cornice offerta da Castel S. Angelo in occasione di una "festa" protrattasi per parecchie giornate; sebbene non molto numerosi, gli spettatori hanno mostrato notevole interesse per l'esibizione dei musicisti, autori di uno show ricco di pathos e fascino anche se ridotto all'essenziale dalla mancanza di illuminazione e coreografie. Nella penombra, comunque, si è avuto modo di ammirare le capacità del cantante Piero Pelù (figlio spirituale di Peter Murphy dei Bauhaus), del tastierista Antonio Aiazzi, del chitarrista Federico Renzulli e dell'ottima sezione ritmica composta da Gianni Maroccolo al basso e Francesco Calamai alla batteria: sound cadenzato, teso e tagliente, qualche sprazzo di psichedelia, canto in italiano di sicuro effetto ed innegabile bellezza delle composizioni sono le armi vincenti dei Litfiba, un complesso giovane ma determinato la cui discografia comprende un solo lavoro: un 12"EP forse un po' grezzo ma di sicuro valido nel quale spiccano pezzi di grande impatto quali "Guerra" e "Luna". Dopo il concerto romano, in una roulotte movimentata da un continuo via-vai di persone, ha avuto luogo la conversazione (qui fedelmente riportata) con Gianni Maroccolo, bassista e arrangiatore di tutti i brani dei Litfiba oltre che interlocutore attento, simpatico e soprattutto obiettivo...



Prima domanda banalissima: cosa pensi della situazione "nuovo rock" italiana?

Proposte ce ne sono tante, ma secondo me i gruppi veramemente interessanti sono pochi. A parte i Gaznevada, che si sono rovinati col tempo, c'era un'ottima band che sicuramente avrebbe potuto fare qualcosa, il Confusional Quartet, ma di loro non si sa più nulla. Per una musica più "dance" potrei invece dire che mi piacciono molto Surprize e Frenetics. Poi, sinceramente, penso che piano piano tutto si stia spostando a Firenze; per un qualcosa di elettronico molto d'avanguardia potrei indicare i Neon e noi per un genere più "italiano"; purtroppo devo però constatare che molta gente ha mollato tutto proprio quando si doveva fare il sacrificio in più...


Secondo te, per quale motivo?

Perché, obiettivamente, se qualcuno decide di intraprendere la professione di musicista, fare il rock in Italia è difficile; è per quello, più che altro, perché non si vedono soldi e non si sa come andare avanti, e molti non hanno quel pizzico di grinta in più che serve per proseguire.

Ma tu credi che il pubblico italiano, ora come ora, sia ricettivo nei confronti di proposte "avanguardiste" come la vostra?

Diciamo che ultimamente si sono trovate risposte positive da parte di chi ci viene a sentire, non necessariamente dalla "fetta avanguardista" dell'audience ma anche dalla massa; ad esempio pensiamo che cantare in italiano ci agevoli, perché così si riesce ad essere capiti e spesso anche a piacere. Ora, il discorso "avanguardista" in senso assoluto non credo possa già essere recepito: rimane sempre una cosa amatoriale, come se ascoltare new wave sia una specie di hobby.

Con la vostra musica volete trasmettere un messaggio di tipo culturale, o è solo una questione di vibrazioni ed emozioni da comunicare a chi vi ascolta?

Principalmente si tratta di un fatto di vibrazioni ed emozioni. Purtroppo in Italia c'è un certo modo di ribellarsi che non si riesce a buttar fuori: cioé, si avrebbe voglia di fare qualcosa, ma a un certo punto ci si blocca. Noi non portiamo avanti nessun discorso particolare ma tendiamo ad analizzare quali sono i motivi per cui l'uomo italiano si blocca, e questo in qualsiasi campo: nel mondo del lavoro, nell'inserimento nella società, nella musica, in qualsiasi situazione. Ovviamente è un fatto soggettivo, è un nostro modo di vedere la cosa, naturalmente dal punto di vista sensitivo. A livello musicale, le atmosfere che creiamo...

... a me suggeriscono tensione, ma una tensione vellutata: un sound sicuramente piuttosto introspettivo...

Esatto, una tensione, che però fa riflettere; cero, la nostra musica ha bisogno di essere ascoltata con un po' di attenzione in più per essere compresa al meglio. A noi piacerebbe che chi ci ascolta fosse poi ispirato ad analizzare, a pensare un po' a ciò che tentiamo di suggerire. Magari nel tipo di espressione siamo decadenti, piuttosto epici, ma questo si riallaccia alle nostre tematiche. Secondo me, questa è già vera sperimentazione: tenetare di inserire in un genere che ha le sue radici non certo in Italia bensì in Inghilterra, un testo in italiano; ecco, già questa per noi è ricerca. È molto facile, poi, cadere nella banalità facendo un testo in italiano, e penso che molti gruppi si nascondano dietro l'inglese perché non sanno cosa dire, altri perché non hanno voglia di scervellarsi per trovare l'esatta sistemazione di un testo nella nostra lingua in un ambito per esso insolito.

Certo che inserire l'italiano in un contesto rock è tutt'altro che semplice...

Beh, vedi, noi a livello musicale siamo abbastanza preparati; se la nostra musica è scarna, essenziale, senza virtuosismi, è una nostra scelta precisa e non un mezzo per coprire eventuali deficienze tecniche. Con questa base si è innanzitutto cercato di dare musicalità ai testi, cantandoli in italiano; penso che nei tre quarti dei casi ci siamo riusciti in modo soddisfacente, e poi abbiamo anche qualche brano in latino, in francese e in inglese. L'importante è riuscire a creare omogeneità.

Dal punto di vista strettamente sonoro i vostri riferimenti a gruppi anglosassoni sono piuttosto evidenti: come mi spieghi il fatto che voi "sentiate" un feeling che non vi appartiene, che non fa parte del vostro bagaglio culturale.

Beh, io penso che il discorso rock, in senso lato, sia universale. Qui, però, si parla di matrici: come, ad esempio, la canzone folk napoletana è famosa in tutto il mondo per essere italiana, così ci sono personaggi come Frank Sinatra che fanno musica con tendenze italiane. Noi ci siamo inseriti in un certo tipo di discorso perché a livello interiore abbiamo quella stessa incazzatura che poteva avere Mick Jagger vent'anni fa, chiaramente inserita in un tipo di espressione più nuova, più adatta ai tempi. A noi, però, è venuto spontaneo fondere il nostro amore tipicamente italiano per la melodia con alcuni aspetti di queste nuove tendenze, secondo quelli che sono i nostri criteri. Non si tratta di prendere dei modelli anglosassoni e trasferirli in Italia, il segreto sta nella fusione. Quando sono entrato nei Litfiba, dopo otto anni di hard rock, non sapevo nemmeno chi fossero i Joy Division.

Cambiando argomento, perché un gruppo "serio" come voi ha partecipato a una manifestazione discutibile come il Festival Rock?

Abbiamo solo cercato di sfruttare un'occasione che ci si presentava per farci conoscere a livello nazionale. Vedi, anche se potrà sembrarti presuntuoso, noi eravamo sicuri di vincere, o perlomeno di fare un'ottima figura. E poi cercavamo delle conferme, volevamo vedere se il nostro discorso poteva essere recepito da un pubblico più vasto, diverso dal solito.

Pensi che il Festival sia riuscito a mostrare la vera essenza della situazione italiana?

Purtroppo credo di sì. Come ti ho già detto, ritengo che ora come ora ci siano quattro o cinque gruppi in grado di fare qualcosa di valido ed interessante. Il fatto che Milano o Bologna lo abbiano un po' snobbato non significa nulla, a mio parere: Bologna ormai è "scoppiata" per certe cose, adesso è Firenze che sta salendo alla ribalta. Non so se Milano sia stata adeguatamente rappresentata, ma tutto sommato penso che il panorama generale sia proprio quello. Certo, se il Festival fosse stato organizzato come raduno e non come competizione sarebbe stato senz'altro meglio.

Praticamente cosa ha comportato la vostra vittoria?

Innanzitutto molta pubblicità, e poi la possibilità di incidere un disco per la Fonit-Cetra, che sembra molto bendisposta nei nostri confronti ed è intenzionata a lasciarci la massima libertà sul prodotto. Sarà un 45 giri, forse un EP, e di esso faranno parte, probabilmente, "Pigalle" e una riedizione di "Luna". Poi, vedremo.

Cosa direste ad una persona che, per farsi un'idea dei Litfiba, ascoltasse il vostro 12"EP su Urgent?

Il disco ha qualche pecca tecnica, ma le nostre atmosfere ci sono. È un prodotto molto spontaneo, ma risale ad un anno fa; in un anno i Litfiba sono maturati, ma quelle matrici, le nostre, sono rimaste invariate.

In attesa di ulteriori sviluppi...

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L'articolo Litfiba - da Il Mucchio Selvaggio n.58, 01-11-1982 di Federico Guglielmi è apparso su Rockit.it il 1999-08-31 00:00:00

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