Offlaga Disco Pax - Milano, 16-02-2008

(Gli Offlaga Disco Pax - Foto da internet)

Abbiamo incontrato gli Offlaga Disco Pax a Milano il giorno dopo la loro data al Leoncavallo. Appena svegli hanno dovuto sostenere una lunga chiacchierata - di quasi un'ora - dove si è parlato del loro ultimo "Bachelite" (Santeria), di industria discografica, di presente e passato, di vita quotidiana e di un'idea della musica ancora romantica e fin troppo ottimista per i tempi che corrono. L'intervista di Sandro Giorello.



Siete cambiati parecchio dai tempi di “Socialismo Tacabile”: meno nomi strani come “ideologia a bassa intensità” o “neosensibilismo” e meno riferimenti politici. Un nome solo: Bachelite.
Enrico: E’ normale, quando inizi hai tante idee, non sai bene cosa scartare, hai foga di fare. Abbiamo asciugato. Max ha anche smesso di fare i libretti per i nostri concerti, prima li faceva sempre.

Daniele: Diciamo che c’è meno ansia da comunicazione… ci siamo resi conto che siamo già fin troppo comunicativi.

Nella recensione pubblicata su Rockit Sara Scheggia scrive che il titolo “Bachelite” - il materiale plastico che ha dato il via all’usa e getta come stile di vita - ha in sé una critica verso il consumismo…
E: Il titolo l’ho proposto io. La prima volta che ho letto la parola bachelite è stata in un testo di Max per un pezzo che poi abbiamo abbandonato, ti parlo di un paio d’anni fa. Mi è tornato in mente mentre pensavo all’artwork del disco, ho pensato che un titolo come “Bachelite” potesse starci bene. Poi è iniziata la ricerca delle motivazioni per dare quel titolo al disco. Ad esempio è il materiale che ha segnato il passaggio dai giocattoli in legno a quelli in plastica, un mio amico, che ora ha 55 anni, aveva vissuto questo passaggio e me l’aveva descritto come un'esperienza molto negativa. Poi il fatto che la bachelite sia un elemento chimico e questo ti dà un senso di coesione. E poi era l’elemento con cui venivano fatti tutti gli oggetti di uso comune degli anni 40 e 50.

Max: I telefoni venivano fatti in bachelite.

E: In realtà sono fatti tuttora perché alcune parti dei cellulari sono in bachelite, come alcuni cruscotti delle macchine sono fatti di un composto plastico che contiene bachelite. Sono tutti oggetti presenti nelle nostre canzoni.

E quindi sono spiegazioni che avete trovato dopo…
E: Si tutto quanto dopo. Ci piaceva il nome, ci piaceva il fatto che, probabilmente, non tutti sapessero cosa fosse la bachelite.

E’ strana questa vostra istintività, il disco sembra molto più ragionato e più complesso del precedente. Anche il mix della voce – quasi confusa tra gli strumenti - è un’esplicita richiesta all’ascoltatore di essere più attento ai testi…
E: Si è molto più cerebrale. Per quel che riguarda il mix nella voce, noi siamo convintissimi della scelta fatta. Tutte le volte che su Myspace ascolto “Ventrale” in coda a “Robespierre” rabbrividisco. Probabilmente questo disco farà sì che io non riesca più ad ascoltare “Socialismo Tascabile”. L’unico problema l’abbiamo avuto con la masterizzazione. Un disco masterizzato a New York non dovrebbe suonare diverso da impianto a impianto. La prerogativa della buona masterizzazzione è appunto che il disco suoni bene universalmente, invece a casa mia devo aggiungere le basse, altri miei amici dicono che ne ha troppe.

D: Si, poi il mix fatto così ti porta ad ascolti successivi, ti porta ad una maggiore attenzione alle parole. Potrei parlarti di uno dei mie dischi preferiti, che è “Loveless” dei My Bloody Valentine, dove la voce quasi non si sente.

I testi sono molto meno ironici.
M: Non lo so. Diciamo che per la prima volta i testi sono nati appositamente per finire su un disco mentre questo non era vero al primo giro, in cui c’erano dei racconti scritti da me in un periodo precedente alla nascita del gruppo. Alcuni dei testi presenti su “Bachelite” sono stati scritti nel periodo di gestazione del gruppo, quindi prima ancora che uscisse “Socialismo Tascabile”, altri più recentemente. Sui contenuti… Ovviamente non sono testi fotocopia: c’è qualche rimando al disco precedente ma tutto l’armamentario ideologico… non dico che sia stato messo da parte, ma sicuramente è stato espresso in un altro modo. Magari meno ironico, meno da comizio, ma i testi mantengono un loro contenuto politico, magari più sfumato, più interiore, meno ideologico.

E: Quella di diventare meno politici non è stata una scelta calcolata. Se vuoi, l’unica cosa scelta veramente è stata quella di mettere nelle scalette dei nostri ultimi concerti i pezzi più intimisti verso la fine. “Defonseca”, ad esempio, era sempre l’ultima. Questo poteva far presagire una certa svolta verso temi più personali.

M: Secondo me un testo come "Onomastica" è fortemente politico.

E: E’ anche fortemente ironico, perché gioca con i nomi. Noi ci siamo divertiti a registrarla, in studio ci veniva sempre da ridere.

D: Potrebbe essere un testo molto più politico di altri.

M: Un linguaggio così vetero usato in un modo così surreale… forse non è così immediato ma per me c’è un significato forte (mentre uscivamo, a intervista finita, Max ha voluto puntualizzare il concetto che sta alla base di “Onomastica”, ovvero di come i nomi di battesimo a Reggio Emilia rappresentassero davvero un attaccamento alla propria terra d’origine. Mi spiegava di come i punti di riferimento fossero proprio altri: scegliere di chiamare il proprio figlio con il nome di un eroe dei fumetti (ad esempio: Viller, ispirandosi a Tex Willer) di un grande personaggio storico (ad esempio: Engels) o un nome geografico (ad esempio: Tundra) al posto dei più usuali nomi dei santi era un segno politico forte. E poi mi ha raccontato di come venissero storpiati i nomi stranieri, Iames al posto di James o Miche al posto di Mike. Tutto questo a ribadire che in Emilia c'è una forte consapevolezza della propria identità culturale e che questa emerge negli aspetti più comuni della vita quotidiana, NdA).

Fiz me lo ripete praticamente tutte le mattine e mi sembra che voi lo ribadiate in “Sensibile”, in questo periodo storico c’è il bisogno di riportare in auge il concetto morettiano “Le parole sono importanti”?
M: In un progetto come il nostro è ovvio che la parola diventa importante.

E: Io leggerei la sua domanda in maniera diversa, secondo me chiedeva se in questo determinato periodo storico c’è bisogno di ribadire l’importanza dell’uso corretto delle parole.

In realtà sì…
E: Sarebbe un po’ paradossale per noi ribadire un concetto del genere perché nei nostri pezzi la parola è uno strumento come gli altri. Non c’è l’idea di lanciare messaggi. Poi, mi trovo d’accordo con te, sicuramente è un periodo in cui di Bla Bla Bla se ne sente molto e se ne legge tantissimo. Cercare informazioni su internet è come rovistare in un bidone pieno di pagine di giornale appallottolate. Ma credo che tu abbia preso troppo seriamente il testo di “Sensibile”.

M: Non c’è mai stata l’idea di dover mandare dei messaggi per convincere qualcuno. Intendo in modo militante…
E: Te lo assicuro, non ci sono dietro grandi concettualismi. Come diceva Bunuel: “se sapessi perché l’ho fatto non l’avrei fatto”.

I Baustelle nel loro ultimo “Amen” citano Alfredino e la P2, voi citate Fioravanti e la Mambro. Abbiamo perso la memoria del ventunesimo secolo?
E: Partiamo dall’inizio, la memoria non ci è stata tolta, ci è stata negata. E’ una cosa diversa. Chi arriva a studiare fino in quinta superiore, o all’università, può assicurarti che la storia attuale dell’Italia non viene mai approfondita. Io mi sono iscritto a Storia Contemporanea 4 anni fa, sul programma c’era la storia d’Italia... dovevi vedere come veniva affrontata durante le lezioni. E’ tutto in mano ai media. Non ci sono libri di testo, se vuoi puoi trovare dei saggi. Il terrorismo viene raccontato attraverso i Ballarò, i Matrix, i Porta a Porta, attraverso il ritorno delle Br e quattro stupidi arresti. Sarebbe un argomento interessante ma rischierei di tenerti qui tutto il pomeriggio.

Nei testi sembra che preferiate raccontare momenti passati rispetto a descrivere l’attualità.
M: Ti sbagli, i pezzi più intimisti sono tutti riferiti a fatti recenti.

E: Ovviamente non parliamo del momento politico che stiamo vivendo.

M: Si, non penso che mi metterei mai a scrivere qualcosa sul Partito Democratico (ride, NdA).

C’è il desiderio di dipingere con un’aurea epica le cose che raccontate?
M: Il gioco è un po’ diverso… perché in realtà l’epica dell’Emilia rossa la sente in maniera forte solo chi non l’ha vissuta realmente. Da fuori sono viste come cose straordinarie e particolari, per noi è vita quotidiana.

La prima copia di “Bachelite” che è arrivata in redazione era divisa in 99 tracce, è dai tempi di “Follow The Leader” dei Korn che non vedevo un sistema anticopia del genere.
E: E’ una cosa che abbiamo deciso con i ragazzi di Santeria.

Ma credevate davvero di impedire che il disco circolasse in rete?
E: Noi avevamo pensato, addirittura, di far partire tutta la fase promozionale il giorno stesso dell’uscita del disco. L’idea è che un album esce un determinato giorno. Quando avevo 15 anni chiamavo il negozio di dischi due volte al giorno per sapere se era arrivato quello che cercavo. Il giorno dell’uscita di un disco era sempre una data importante. Era un’emozione: andare nel negozio, comprare il disco, andare a casa, scartarlo, ascoltarlo. Adesso non è la stessa cosa.

Ma rispetto alle tendenze odierne sarebbe un po’ come tirare il freno a mano…
E: Ho letto alcune cose su Rockit in merito alla vostra visione e non sono così d’accordo... Per me, dopo che il disco è uscito, puoi prenderlo e farci quello che ti pare.

D: Sarebbe bene, però, rispettare la volontà dell’artista.

E: Esatto, quando tu lavori ad una cosa per tanti mesi ci tieni che ci sia un momento. E' come dire: Basquiat dipinge un quadro e tu vai a vederlo in casa sua prima che lui lo esponga. Ci sarà una mostra, deciderà lui quando esporlo. Non siamo Basquiat, ovviamente (ride, NdA). Sarà un’idea romantica…
D: Però ci siamo riusciti perché su internet…
M: …su internet è comparso solo il giorno dopo dell’anteprima al Maffia di Bologna. Ci sembra già incredibile: è finito in rete solo tre giorni prima dell’uscita nei negozi.

E: Secondo me è tipico di volere tutto subito, consumare tutto subito (ritma le parole schioccando le dita, NdA). Non conta più il quando… per me invece il quando conta moltissimo.

Quindi a voi interessa il “momento”, non tanto il supporto fisico…
M: Ma noi siamo degli appassionati, siamo quasi dei feticisti.

D: Il formato fisico è necessario, io non scarico musica perché voglio il cd, anzi voglio il vinile.

M: Io non posseggo nemmeno i dischi masterizzati, figurati se mi metto a scaricarli.

E: Io la penso diversamente, per me il contenuto è la cosa più importante, il packaging del prodotto non mi interessa. Viviamo in un mondo dove il packaging è troppo, che se compri 200 grammi di biscotti ne hai altrettanti della confezione. Liberare nell’aria la musica per evitare di produrre plastica è giusto. Ci sarebbe piaciuto molto fare la confezione dell’album interamente in carta, ma sarebbe costato troppo a noi e di conseguenza a chi comprava il cd.

M: La tendenza sarà pure quella di mettere la musica solo in rete… noi al Maffia abbiamo venduto 100 copie, ieri al Leoncavallo 90. Non è poi così vero che c’è questa disaffezione verso il supporto.

Che lavoro fate?
D: Negoziante di dischi, fin che dura…
M: Io sono una specie di geometra, sono un libero professionista e questa è l’unica possibilità che mi permette di giostrare, anche se faticosamente, il lavoro con i concerti.

E: Nulla.

Vorreste fare i musicisti di professione?
M: Io ho 40 anni, l’idea di fare il professionista della musica non mi può neanche sfiorare. Personalmente non è una cosa che desidererei. Avere un proprio lavoro ti mantiene a contatto con una realtà quotidiana. Fare il musicista, nel bene o nel male, ti porta verso un isolamento… poi io ho sempre lavorato, ci sono abituato.

Su tutte le riviste musicali uscite in coppia con i Baustelle. Loro – e questa non vuole essere per forza una critica – hanno una grande presa sul pubblico dei giovanissimi. Voi vi vedreste come band da teenagers?
M: Prego?

E: Ieri sera uscendo dal Leoncavallo, c’eravamo io e Jukka (Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò, NdR), ad un certo punto lui mi fa “questo è strano” e mi indica una coppia sui 55 anni con i figli appresso. Avevano accompagnato i figli al concerto e si erano fermati ad ascoltarci. Secondo me la nostra forza rispetto al ragionamento che può fare una major…

Intendi targettizzare il pubblico?
E: Si, la nostra fortuna è che ci possono ascoltare dai bambini di 15 anni ai sessantenni. Con diverse chiavi di lettura. Sul fatto di stare sulle stesse riviste…
M: …non vorrei che fosse una tua distorsione, perché alla fine i dischi sono usciti in contemporanea e i giornali parlano sempre delle novità del mese. Il tipo di progetto, il tipo di casa discografica, il tipo di contenuti, sono tutte cose oggettivamente diverse.

In effetti la mia era una provocazione, lo so che i contenuti sono diversi. Ma credo che voi compariate sui giornali insieme ai Baustelle anche perché per la gente comune siete la “nuova musica italiana”. E si sa, il potere dei media sul grande pubblico è forte. Non escluderei che adesso qualche fan dei Baustelle sia incuriosito dagli Offlaga Disco Pax…
E: Forse, ma sono due campi di gioco diversi, la visibilità mediatica dei Baustelle è stata veramente massiva. C’e stato uno sforzo enorme da parte della loro etichetta. Noi non abbiamo tutte queste risorse.

M: Noi siamo davvero il gruppo indipendente e autoprodotto, il massimo del risultato con il minimimo sforzo (ride, NdA). A me la parola marketing non piace ma è inevitabile. Con “Socialismo…” abbiamo venduto 8.000 copie con investimenti di marketing sostanzialmente risibili, vicino allo zero. Se pensi a quanto investe una major, si parla di decine di migliaia di euro per ottenere risultati che saranno al massimo tre quattro volte i nostri. Ovvio, avranno altre entrate, penso ai diritti per gli spot pubblicitari o per le suonerie dei telefonini…

Cambiamo argomento. In “Venti minuti” - l'ultimo brano del disco - Max affronta il rapporto con suo padre, morto all'età di 54 anni. Racconta delle telefonate che un amico di suo padre faceva ogni vigilia di Natale e dei venti minuti passati a sentirlo parlare di aneddoti e ricordi del passato. E' senza dubbio uno dei pezzi più personali e “pesanti” che avete mai proposto. Perchè scavare così a fondo nella propria intimità, soprattutto affrontando un tema delicato come quello della famiglia?
E: Max mi ha spedito il testo via mail, come fa di solito, io sono rimasto molto colpito.

M: Guarda… non volevo che quel testo finisse sul disco, l’ho scritto la vigilia di Natale del 2004 quando ho avuto il cortocircuito tra la telefonata dell’amico di mio padre e quelle di mio padre. Quando ho messo in correlazione le due cose e mi è venuto l’istinto di scrivere. Dopo è stato Enrico a convincermi che il testo era forte e che andava utilizzato. E’ stata una scelta difficile ma anche esorcizzante perché, adesso, dopo averla registrata e proposta un paio di volte dal vivo, mi sento già più distaccato. Cioè, quando la faccio mi partono i brividi che dal piede arrivano fino al collo. Pazzesco. Ma è già molto meglio rispetto alle prime volte.

Avete mai pensato di metter su famiglia? Ormai siete in età per farlo.
M: A me non è capitato, ci sono andato vicino ma non è capitato, spero che capiti.

E: Io ho una storia in corso da molti anni ma la mia ragazza sta ancora finendo di studiare. Non avendo un lavoro, per me è improponibile l’idea di un mutuo. Vorrei, l’ho sempre voluto.

D: Non ci penso assolutamente, non lo so…

In questa intervista ho sbagliato la maggior parte delle domande. Vi ho descritto come degli strateghi che pianificano a tavolino, che redigono manifesti per lanciare messaggi militanti e disseminare significati nascosti nei loro dischi. In realtà è tutto il contrario: tre persone romantiche che si affidano fin troppo al loro istinto. Ditemi voi chi sono gli Offlaga Disco Pax.
E: (ride, NdA).

M: Io sono convintissimo di questo: noi siamo tre persone molto diverse. L’unione di questi aspetti così diversi crea una chimica che funziona molto bene. L’idea di fondo è che quello che facciamo insieme dà quel qualcosa in più che da soli non riusciremmo ad ottenere. Sicuramente se scrivessi un libro di racconti non avrebbe la stessa efficacia…
E: Il gruppo nasce come un’idea a risveglio.

Un’idea al risveglio?
E: Risvegliarsi e dire… E poi c’è molto di onirico nella nostra storia. Se pensi a come siamo cresciuti e in così poco tempo, se lo paragoni alle nostre intenzioni di partenza… ti sembra davvero un sogno.

M: Noi siamo nati davvero in una dimensione domestica: sale prove scroccate e concerti organizzati da soli. Non ci crediamo ancora che ieri c’era il Leoncavallo pieno. Secondo noi ci ha aiutato questo: la totale mancanza di ambizione. Non avendo aspettative è stato possibile realizzarlo.

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L'articolo Offlaga Disco Pax - Milano, 16-02-2008 di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2008-02-25 00:00:00

COMMENTI (5)

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  • utente0 16 anni fa Rispondi

    su disco non ho niente da dire, il live per certi versi è noiosino. tipo che due palle. sembrano persone carine, ma intorno hanno gente poco simpa-tica.




  • eloisa 16 anni fa Rispondi

    bene, sì..
    ad ogni ascolto qualcosa di nuovo, sconcertante. :)

  • enver 16 anni fa Rispondi

    quanto amore. Enrico Fontanelli è il mio guru e lui lo sa. ha ragionissima sul supporto, eh! però basta accostarli a quelli là.

  • tricky86 16 anni fa Rispondi

    Francamente non riesco a capire se il nostro amico sandro sia meglio come giornalista o come direttore di palco... è un bel dilemma...

  • faustiko 16 anni fa Rispondi

    ...e bravo il ns. sandro... :)